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L’ingrediente nascosto del vapore acqueo delle nuvole è la resistenza agli antibiotici

La resistenza agli antibiotici è ormai talmente pervasiva che i geni che la supportano si ritrovano perfino nelle nuvole e, da lì, vengono ulteriormente diffusi. 

Da quando il sequenziamento dei geni è diventato accessibile a quasi tutti i laboratori di ricerca, si susseguono ricerche finalizzate a controllare la presenza di batteri e di geni che conferiscono loro resistenza agli antibiotici ovunque negli ambienti Terrestri: per esempio, nelle acque, o nel terreno. Ma lo studio pubblicato su Science of the Total Environment dai ricercatori di due università francesi, quella Laval e quella di Clermont Auvergne, compie un passo ulteriore, andando a cercare quegli stessi geni nell’acqua vaporizzata presente nelle nuvole. Per raccogliere campioni significativi, i ricercatori hanno raggiunto una stazione metereologica posta sul monte Puy de Dôme, nel Massiccio Centrale, posta a 1.645 metri, e hanno effettuato 12 campionamenti nell’arco di due anni. Tornati in laboratorio, hanno trovato, in media, 8.000 batteri per ogni millilitro di acqua (con concentrazioni molto variabili, e comprese tra 330 e più di 30.000 individui per millilitro) e, soprattutto, 20.800 copie di uno o più tra 29 geni che conferiscono resistenza agli antibiotici, sempre per millilitro di acqua vaporizzata. Il fatto non stupisce, perché l’acqua contenuta nelle nuvole raccoglie i vapori che arrivano dal terreno (per esempio, da quello degli allevamenti, o delle colture intensive, dove la resistenza agli antibiotici è molto presente anche perché molte sostanze vengono somministrare per aerosol) oppure dalle acque, ma ciò che preoccupa è il grande numero di questi geni presenti in atmosfera. Anche perché le nuvole effettuano un’ulteriore disseminazione, trasportandoli per grandi distanze.

Resta da capire se l’analisi delle nuvole possa essere anche sfruttata come spia di situazioni particolarmente critiche, e se la presenza di questi geni in atmosfera abbia conseguenze dirette sulla salute umana. Ma ciò che è evidente è che, nel frattempo, bisogna fare molto di più per diminuire la resistenza, e per cercare nuove strategie terapeutiche contro i batteri, prima che sia tardi.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 gennaio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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