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L’imbalsamazione degli antichi Egizi oggi
è assai meno misteriosa, grazie a Senetnay

Il processo di imbalsamazione degli antichi egizi è un po’ meno misterioso, grazie a uno studio condotto sui resti di una nobildonna portata alla luce nientemeno che da Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tuthankhamon, nel 1900 nella valle dei re, condotto dai ricercatori del Max Planck Institute of Geoanthropology di Jena, in Germania. Come illustrato su Science Advances, lei si chiamava Senetnay, ed era vissuta in Egitto attorno al 1450 a.C., svolgendo un lavoro speciale: era la balia di un faraone, Amenhotep II, posizione che le aveva assicurato il titolo di ornamento del re, riservato appunto ai nobili e alle personalità più vicine ai monarchi. Per questo, i suoi organi sono stati mummificati e riposti in due urne canopiche trovate intatte, una per i polmoni e una per il fegato, ora analizzate attraverso sei campioni prelevati con estrema attenzione.

L’analisi delle specie chimiche presenti ha rivelato che i balsami utilizzati per la conservazione contenevano cera d’api, oli vegetali, grassi animali, bitume e resine di conifere, tra i quali pini e larici (assenti in Egitto). Inoltre, gli autori hanno identificato anche cumarina, una sostanza dall’aroma di vaniglia che si trova in numerose piante, tra le quali la cannella e i piselli, e di acido benzoico, che si ricava da alcune resine molto profumate di diversi alberi ed arbusti. Infine, hanno scoperto che nella miscela usata per i polmoni c’erano anche due sostanze assenti nell’urna del fegato, il larixolo, estratto dai larici, e gomma dammar, una resina che si ottiene da alcuni alberi endemici di certe zone dell’Asia e dell’India così come dal pistacchio. Ciò significa che gli organi erano trattati in modo specifico, e che si utilizzavano anche essenze e sostanze provenienti da molto lontano. La composizione di questi balsami sembra infine essere più complessa rispetto ad altri analizzati in precedenza, e ciò conferma che Senetnay era di un lignaggio molto elevato, e che era particolarmente importante che il suo corpo si mantenesse intatto. Tra l’altro, l’aroma dei balsami, ricostuitti per lo studio, era molto più gradevole rispetto alle attese. Per ora la missione-eternità è riuscita, e sono passati 3.500 anni.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 29 settembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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