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L’ibogaina aiuta a configgere lo stress post traumatico, la psilocibina la depressione

L’ibogaina, principio attivo della pianta di origine africana Tabernanthe iboga, in uso in alcuni paesi come terapia per la disassuefazione dalle droghe, potrebbe trovare una nuova collocazione nella cura della sindrome da stress post traumatico (PTSD) grave, e dell’ansia e della depressione a esso associati. Uno studio condotto su una trentina di veterani statunitensi dimostra infatti tassi sorprendenti di miglioramento, senza effetti collaterali rilevanti. Come riferito su Nature Medicine, i veterani erano tutti vittime di gravi e ripetuti traumi cranici in cura presso l’Università di Stanford, in California. I traumi comportano conseguenze quali depressione, disturbi psichiatrici di varia natura come le dipendenze gravi, rischio di suicidio e aumento di rischio di Alzheimer. In effetti, 23 di loro avevano i sintomi del disturbo da stress post traumatico o PTSD, 14 quelli dell’ansia, e 15 erano diventati alcolisti, mentre 19 avevano avuto pensieri suicidari e sette avevano tentato almeno una volta il suicidio. Per cercare stare meglio, sotto la supervisione dei loro curanti erano andati in Messico, dove le cure con ibogaina sono legali. Lì erano stati trattati con ibogaina e magnesio, dato per attenuare le possibili conseguenze sul cuore, segnalate in alcuni studi. Al ritorno negli Stati Uniti, le scale di valutazione specifiche hanno mostrato risultati mai ottenuti prima: una riduzione dell’88% dello stress post traumatico, una dell’87% della depressione e una dell’81% dell’ansia.

Anche i test cognitivi hanno poi mostrato un miglioramento nella capacità di concentrazione, nella memoria e nell’impulsività. Non sono emersi effetti indesiderati gravi.

Per quanto il campione sia piccolo, lo studio conferma sia le potenzialità degli psichedelici nel PTSD, sia quelle dell’ibogaina, molto potente, usata da decenni in modo illegale (ma spesso in cliniche dedicate), e finora oggetto di pochi studi.

Oltre a questa ricerca, un’altra, pubblicata qualche settimana prima su Cancer, suggerisce che gli psichedelici possano entrare a far parte dell’armamentario terapeutico anche per il trattamento della depressione grave (a volte gravissima, e resistente a qualunque terapia) che colpisce alcune persone malate terminali di tumore. In questo caso, oggetto dello studio è stata la psilocibina, principio attivo dei funghi psylocibe, sperimentata anche in questo caso da 30 pazienti (al dosaggio di 25 milligrammi, dati una sola volta), in supporto alla psicoterapia. Dopo otto settimane di cura, i punteggi della depressione sono diminuiti sensibilmente nell’80% dei casi, al punto che i pazienti non rispondevano più ai criteri clinici di depressione grave, e metà di loro poteva essere considerato in piena remissione già dopo la prima settimana, e lo era ancora dopo otto. Scarsi gli effetti collaterali, prevalentemente nausea e cefalea. Toccanti le testimonianze degli oncologi, che hanno affermato di non aver mai ottenuto risultati del genere.

Questo tipo di utilizzo è stato tra i primi ipotizzati negli anni cinquanta, e potrebbe anch’esso essere presto autorizzato, perché negli ultimi anni diversi studi ne hanno confermato la validità, in un ambito particolarmente difficile e delicato.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 23 gennaio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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