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L’estratto di tè verde di tipo matcha è
molto efficace nella lotta alla parodontite

Per combattere la parodontite, malattia delle gengive provocata da batteri che, se trascurata, può provocare la perdita dei denti, e che è stata associata a un aumento del rischio di diverse malattie tra le quali alcuni tumori, quelle cardiovascolari, il diabete, l’artrite reumatoide e gli ictus, un valido aiuto potrebbe arrivare dal tè verde del tipo matcha, un tè di origine cinese, di qualità superiore, non a caso utilizzato nelle cerimonie del tè in Cina e in Giappone. Uno studio appena pubblicato su Microbiology Spectrum dai ricercatori della Nihon University School of Dentistry di Matsudo, in Giappone, dimostra infatti che esso ha un’azione molto potente contro la specie batterica più coinvolta nelle parodontiti, il Porphyromonas gingivalis.

Per verificare i possibili effetti antibatterici, i ricercatori giapponesi hanno sperimentato un estratto di matcha contro 16 tipi di batteri posti in coltura, tra i quali anche tre ceppi di P. gingivalis, e hanno visto che dopo sole due ore tutti i batteri di quella specie erano morti, e dopo quattro ore erano morti tutti i batteri presenti nella coltura. Il matcha sembra quindi essere dotato di una potente azione microbicida.

Ma poi gli autori hanno voluto fare un passo in avanti, sperimentando l’estratto di matcha su 45 persone con parodontite. Il campione è stato suddiviso in tre gruppi: a uno è stato assegnato un collutorio con matcha, a un altro uno con tè d’orzo e al terzo uno con un disinfettante normalmente presente nei collutori; tutti dovevano utilizzarli due volte al giorno, per un mese. Alla fine, coloro che avevano utilizzato il collutorio con l’estratto di matcha hanno avuto un netto miglioramento della propria situazione e, nello specifico, una drastica diminuzione della concentrazione di P. gingivalis nella saliva, a differenza degli altri. Il matcha potrebbe quindi essere impiegato per dentifrici, collutori e gel da consigliare a chi soffre di parodontite, anche perché non ha alcun tipo di effetto collaterale.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 29 maggio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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