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L’estratto di artemisia afra è molto efficace contro il micobatterio della tubercolosi

La cura della tubercolosi, patologia che colpisce circa dieci milioni di persone, e che causa la morte di 1,5 milioni di malati all’anno, particolarmente ostica da trattare con gli antibiotici, ai quali è ormai resistente, potrebbe arrivare da una pianta utilizzata da millenni contro le malattie che danno febbre: l’artemisia (o assenzio) africano. Uno studio appena pubblicato sul Journal of Ethnopharmacology illustra infatti le caratteristiche in particolare di un principio attivo contenuto nell’Artemisia afra, un O-metilflavone, candidandolo così a un ruolo di primo piano.

In realtà, la storia ha avuto inizio nel 2021, quando uno studio su pochi pazienti trattati con infusi di Artemisia afra (cinque persone) e di un’altra varietà, la annua (dieci persone), ha rivelato che dopo soli cinque giorni i sintomi scomparivano, e che anche il test specifico per rilevare la presenza dei micobatteri (i batteri che provicano la malattia), chiamato di Ziehl- Neelsen, si negativizzava dopo, rispettivamente, dieci e 15 giorni di infusi: un risultato sorprendente, eccezionale e promettente.

Ma capire a che cosa fosse dovuto non era facile, perché entrambe le varietà contengono decine di molecole diverse. Per questo i farmacologi dell’Università della Pennsylvania hanno suddiviso gli estratti dell’afra in frazioni, hanno verificato quale di esse, se messa a contatto con i micobatteri, li uccideva e poi, anche grazie all’intelligenza artificiale e a diverse analisi strumentali, hanno identificato l’O-metilflavone, che sembra essere la molecola più efficace. Da notare che questa sostanza agisce anche contro lo stato più difficile da trattare del micobatterio: quello di quasi-ibernazione in cui esso entra quando sottoposto a uno stress, e che di solito rende l’infezione estremamante difficile da eradicare (per questo motivo le terapie anti TBC classiche durano molti mesi). Contro questo stato i farmaci classici sono scarsamente efficaci, e anche per questo le speranza ora sono alte.

Gli studi proseguono, nella speranza di giungere presto a un farmaco. Del resto, dall’artemisia annua arriva anche uno degli antimalarici più efficaci, l’artemisina, e le popolazioni africane ricorrono alle artemisie da millenni per la cura di numerose patologie.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 16 ottobre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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