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L’eredità avvelenata sui residenti della zona del progetto Manhattan: molti più tumori

La contaminazione da isotopi radioattivi derivante da ordigni nucleari fa danni per decenni, alle popolazioni esposte. Questo lo si sapeva già, ma ora  è arrivata una nuova, drammatica conferma. Uno studio pubblicato su JAMA ha infatti dimostrato che l’eredità avvelenata del progetto Manhattan, che ha consentito agli Stati Uniti di mettere a punto le bombe atomiche sganciate sul Giappone nel 1945, ha fatto aumentare significativamente il numero di tumori negli abitanti della zona esposti alle sue scorie.

I ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health si sono concentrati sui dati di oltre 4.200 partecipanti al St. Louis Baby Tooth–Later Life Health Study (SLBT), uno studio che ha seguito nel tempo chi era bambino quando gli scarti delle esplosioni atomiche furono trasportati dal sito nel deserto del Nevada in uno spazio all’aperto a Saint Louis, nel Missouri. Da lì, le scorie contaminarono la zona del Coldwater Creek per decenni, esponendo tutta la popolazione. Per questo si decise di raccogliere i denti da latte dei bambini, tra il 1958 e il 1970, in modo da poter verificare la radioattività cui erano stati esposti, e poi di seguirne nel tempo il maggior numero possibile.

Analizzando i dati di quei bambini, oggi adulti e anziani, la correlazione tra radioattività ambientale e incidenza di tumori è apparsa in tutta la sua drammatica chiarezza: più vicino erano vissuti da piccoli, maggiore era il loro rischio.

In generale, il rischio della zona è del 24%. Ma se ci si avvicina a Coldwater, le cose cambiano. Chi all’epoca viveva a circa un chilometro da Coldwater Creek aveva un rischio del 30%, con punte del 52%, chi viveva tra un chilometro e cinque del 28%, chi era vissuto tra cinque e venti del 25% e chi risiedeva a più di 20 chilometri del 24%, e quindi nella media. Inoltre, ci sono stati veri e propri picchi particolarmente evidenti per o tumori cosiddetti radiosensibili, cioè quelli della tiroide, del sangue, della mammella e dei tessuti basali: chi aveva avuto la sfortuna di vivere entro un chilometro da quelle scorie aveva avuto un aumento del rischio dell’85%.

Pochi giorni dopo un altro studio ha confermato il legame tra lavorazioni nucleari e tunori nella popolazione residente nella zona. Un nido di vespe nella zona del fiume Savannah, dove dagli anni cinquanta sono stati immagazzinati oltre 600 milioni di litri di scorie di un sito iun cui sono state fabbricate bombe atomiche, e che in seguito è stato convertito a usi civili (e ancora oggio è in funzione). Come riportato nel rapporto del Dipartimento dell’energia e ripreso tra gli altri dalla CNN, il nido (ma non le vespe) avevano concentrazioni di radioattività dieci volte superiori ai limiti considerati sicuri. E il fatto preoccupante è che non ci sono state perdite dalle taniche sigillate nele quali sono state interrate le scorie: le indagini son o in corso.

Studi e notizie come queste dovrebbero conoscere la massima diffusione in un’epoca in cui si parla di nuove armi atomiche: chi lo fa, non sa di che cosa parla, o ha la memoria corta.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 20 agosto 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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