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L’aspirinetta anti ictus dopo i 65 anni
non serve a tutti, e può essere pericolosa

Assumere ogni giorno piccole dosi di acido acetilsalicilico (aspirina) per prevenire gli ictus dopo una certa età è una prassi consolidata, e promossa da molti medici. Ma presto potrebbe essere ridimensionata in misura rilevante, perché uno studio appena pubblicato su JAMA Open dai cardiologi e neurologi della Monash University di Melbourne, in Australia, insieme ad alcuni colleghi statunitensi, dimostra quanto sia poco utile, e potenzialmente pericolosa.

Nell’ambito dello studio, infatti, i ricercatori hanno analizzato la storia clinica di oltre 19.000 over 65 privi di patologie cardiovascolari con sintomi, che avevano preso parte a una sperimentazione chiamata ASPREE (da Aspirin in Reducing Events in the Elderly) e, a tal fine, erano stato suddivisi in due gruppi: uno aveva assunto ogni giorno 100 milligrammi di aspirina e uno un placebo tra il 2010 e il 2014. Dopo un’osservazione media di 4,7 anni, è emerso che chi aveva assunto il farmaco non aveva avuto una riduzione significativa del rischio di ictus ischemico, cioè della forma di ictus provocata dall’occlusione dei vasi cerebrali, che l’aspirina dovrebbe prevenire e che è anche, di gran lunga, la più comune. E però aveva avuto un aumento molto elevato, del 38%, del rischio di averne uno emorragico, o un’altra forma di sanguinamento cerebrale, che l’aspirina può aver favorito grazie alla sua attività anticoagulante.

La conclusione è un ammonimento ai medici, affinché valutino molto attentamente la situazione del singolo, prima di prescrivere una terapia quotidiana a base di aspirina in anziani sani, soprattutto in coloro che, per vari motivi, possono avere un rischio significativo di cadute, perché i traumi alla testa possono scatenare l’emorragia. Non ci sarebbero insomma giustificazioni adeguate per prescrivere l’aspirina ad ampie fasce di popolazione anziana che non presentino specifici fattori di rischio.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 7 agosto 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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