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Mente e corpo. Sì, ma quale mente?

di Maria Giovanna Luini

Credo sia facile per tutti (o quasi) ipotizzare un’interazione tra mente e corpo. In fondo si tratta di un argomento che può essere semplificato a piacimento, genericamente affermando che il corpo risponde allo stato (o agli stimoli) della mente e la mente è comunque parte integrante del corpo. Dal punto di vista medico ci si salva in ogni caso: si ammette una certa apertura di idee senza entrare più di tanto nel merito di un argomento poco chiaro. In un’epoca che richiede contemporaneamente l’ipertecnologia con la superspecializzazione e un approccio olistico (perché si stabilisce in modo improprio l’equazione olistico-umano e ipertecnologico-disumano, dimenticando che tutto dipende dall’uomo e dalla sua volontà di gestire la professione con amore), lasciare entrare la mente nei discorsi che riguardano il corpo ha la conseguenza di fare apparire aperti, empatici, pronti a studiare qualcosa in più a beneficio dei pazienti.

E non c’è inganno: che la mente abbia un ruolo è vero. Chiunque lavori in medicina si è reso conto che nella risposta alle terapie, nell’equilibrio della salute e nello squilibrio della malattia esistono aspetti misteriosi: sono misteriosi perché aggiungono o tolgono vita e tempo ed energia in base a regole che la scienza di oggi non ha compreso. Allora per spiegare l’inspiegabile ci si riferisce alla mente, a un “tutto” che localizziamo nel cervello senza però avere chiaro in quali parti sia frammentata, e senza – soprattutto - identificare una spiegazione per il mistero.

In questa nuova e interessante collaborazione con un portale (quando l’ideatore di un sito ha un livello scientifico e di scrittura di eccellenza aderire alle sue proposte professionali è una gioia) arriverò a ragionare con chi vorrà seguirmi di guarigione intesa come capacità intrinseca del corpo che il medico (o l’operatore, chiamiamolo così) deve favorire e accompagnare, fare scattare quando sembra bloccata, ma prima trovo utile soffermarmi sul primo e basilare concetto di interazione corpo-mente. Quale parte o facoltà della mente riesce a interagire con il corpo tanto da coadiuvare, favorire la malattia o la guarigione?

Secondo me la mente può mettere in gioco diverse aree proprie in differenti ruoli per mantenere o recuperare la salute fisica. Concentrarsi razionalmente sulla salute per mantenerla o recuperarla serve nella misura in cui spinge a prendere scelte intelligenti: la prevenzione primaria e secondaria (stile di vita e diagnosi precoce) e il centro migliore con le cure più avanzate sono esempi di uso corretto e benefico della razionalità. Esiste però un’altra parte importante, ed è proprio quel pezzo di mistero cui alludevo poco sopra: quel mistero lì risponde a facoltà che poco hanno di razionale. C’entrano, in un grado ancora da stabilire, le emozioni. Nel secolo recente alle emozioni è stato dato un ruolo marginale, relegato alla poesia, alle reazioni istintive, alle relazioni personali, alla creatività: per carità, detto così è un’enormità e si tratta in effetti di un ruolo gigantesco, ma è ancora limitato rispetto, per esempio, alle potenzialità curative del corpo.

Le emozioni caricano gli atti e i pensieri di un’energia che crea o distrugge. Le emozioni rendono il gesto e la presenza stessa del terapeuta efficaci, e non è la concentrazione razionale a fare della cura il vero toccasana (perfino il chirurgo opera meglio se rilassato nel silenzio quasi meditativo della propria arte manuale), così come non è la razionalità il supporto vero per i malati quando tutte le scelte terapeutiche migliori sono state adottate e si tratta di affrontare il quotidiano, il confronto diretto con la malattia.
Eppure nella lingua comune ci si rende conto del ruolo potentissimo delle emozioni. “Ha sofferto tanto che si è ammalato”. “E’ pieno di amore, è ancora vivo e sta bene e guarda che esami terribili ha”. “Ha uno scopo per vivere, sta lottando con tutte le sue forze e ce la fa”. “Ha rinunciato a lottare quando ha perso sua figlia, da lì le medicine non hanno più avuto un effetto”. Errore concettuale estrarre dal quotidiano regole (quasi-regole) che poi innalziamo al livello di oggetto di discussione medica? Non credo. La medicina è anche – e tanto – osservazione della realtà concreta: la semeiotica può riguardare le emozioni e le loro conseguenze riproducibili. In fondo al cuore di tanti medici c’è la consapevolezza di un ruolo forte delle emozioni nello squilibrio e nell’equilibrio, nello scatenare risposte fisiche evidenti nel bene e nel male.

Se poi si analizzano le parole si arriva ancora più vicino a una verità evidente: non è forse “di moda” (giustamente) badare alla qualità della vita della persona e non solo al suo stato fisico? E cosa è la qualità della vita se non un insieme di emozioni? La qualità della vita influenza la risposta alle terapie, l’accettabilità o meno di alcuni risultati chirurgici, l’impatto della diagnosi con le sue conseguenze: emozioni, sono tutte emozioni che – si sa – possono pesare in modo positivo o negativo sul percorso di diagnosi e cura e sulla riabilitazione.

Ritorniamo all’interazione mente-corpo. Il ruolo della mente esiste ed è impossibile da negare (ma perché vorremmo negarlo? Forse perché – dal punto di vista di alcuni medici – ancora non lo sappiamo maneggiare in modo costruttivo), ma le parti della mente coinvolte in un processo di guarigione o malattia sono diverse ed entrano in azione in modo più o meno marcato secondo logiche che non sempre sono chiare. Sta lì l’argomento della ricerca, sta lì il luogo misterioso e oscuro che aspetta solo di ritrovare la luce.

Data ultimo aggiornamento 4 febbraio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: mente e corpo



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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