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Suonare uno strumento o studiare musica
fa sempre bene, dall’infanzia alla vecchiaia

Suonare uno strumento o comunque studiare musica per anni fa bene a tutte le età: nei bambini aiuta a crescere rafforzando l’autostima e la socialità, negli anziani permette di tenere il cervello allenato e giovane.

Lo confermano, ancora una volta, due studi usciti a poca distanza, che riguardano due età della vita molto diverse, ma che giungono a conclusioni sovrapponibili: i benefici della musica sono evidenti, soprattutto sul sistema nervoso e le sue funzioni superiori.

Il primo, pubblicato su Research Studies in Music Education è in realtà una metanalisi su un aspetto specifico: l’insegnamento della musica ai bambini in età scolare. In esso i ricercatori della Cowan University di Joondalup, in Australia hanno scandagliato la letteratura dedicata e hanno identificato 30 ricerche condotte in tutto il mondo, verificando gli effetti di un corso di musica sul benessere e sullo sviluppo psicofisico dei bambini, misurati con scale riconosciute dalla comunità scientifica.

Il risultato è stato inequivocabilmente positivo: tutti gli studi fatti, oltretutto con metodologie e in situazioni diverse, portano alla stessa conclusione, e cioè che insegnare musica fa bene a livello educativo, sociale e individuale, e dovrebbe essere considerato come qualcosa di molto più rilevante rispetto a un piacevole diversivo. Mancano comunque studi sui metodi di insegnamenti più efficaci e in generale su popolazioni di bambini ampie.

Il secondo, uscito su PloS Biology, è invece uno studio nel quale sono stati messi a confronto, con la risonanza magnetica funzionale, i cervelli di 25 musicisti anziani, 25 anziani non musicisti e 24 non musicisti giovani, per verificare le eventuali differenze. Anche in questo caso, l’esito ha lasciato pochi dubbi: i cervelli dei musicisti anziani, che avevano suonato per gran parte della vita, assomigliano molto a quelli dei giovani, e sono assai diversi da quelli dei coetanei che non hanno mai suonato. Per esempio, non presentano le compensazioni dell’apparato uditivo tipiche dell’anziano, e hanno alcune aree dedicate all’orientamento nello spazio, che cambia con la terza età, simili a quelle dei ragazzi.

Il messaggio che emerge è quindi che suonare o comunque “fare musica” fa bene a tutte le età, dall’infanzia alla vecchiaia.

 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 agosto 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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