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Ipertensione malattia autoimmune? Così sembra

Anche l’ipertensione potrebbe essere una malattia autoimmune. Lo suggerisce uno studio condotto sugli animali dai ricercatori dello University Medical Center di Nashville, in Tennessee.

Gli esperti hanno infatti scoperto che allo stato infiammatorio tipico dell’innalzamento pressorio corrisponde il rilascio, in circolo, di molecole chiamate isochetali.

Queste attivano una specifica popolazione di cellule del sistema immunitario chiamate dendritiche antigen-presenting le quali, a loro volta, reclutano linfociti T e li stimolano a produrre altre molecole infiammatorie (citochine), alimentando così un circolo vizioso che contribuisce a mantenere la pressione al di sopra della soglia di sicurezza.

Ci sono anche dei riscontri in vivo, come fanno notare gli autori sul Journal of Clinical Investigation: gli animali trattati con sostanze che neutralizzano gli isochetali non hanno più questi mutamenti degli elementi del sistema immunitario e andamenti analoghi si riscontrano anche nelle persone con pressione alta.

Se la natura autoimmune dell’ipertensione dovesse essere confermata si potrebbero studiare approcci terapeutici del tutto nuovi.

 


Data ultimo aggiornamento 11 novembre 2014
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: citochine, ipertensione, linfociti T



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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