RIPOSIZIONAMENTO
Il sildenafil (viagra) e gli altri farmaci simili riducono il rischio di sviluppare l’Alzheimer?

Il sildenafil, meglio noto come Viagra, non smette di stupire. Una grande indagine di popolazione suggerisce infatti che il farmaco possa avere un effetto protettivo nei confronti della demenza di Alzheimer.
In esso i ricercatori della University College of London’s School of Pharmacy hanno analizzato i dati di oltre 270.000 uomini ai quali era stato prescritto il sildenafil per una disfunzione erettile tra il 2000 e il 2017 in Gran Bretagna. Come riferito su Neurology, gli uomini che avevano assunto il sildenafil hanno avuto una diminuzione del rischio di sviluppare una demenza di Alzheimer del 18%, particolarmente evidente in chi aveva avuto 20 o più prescrizioni nei cinque anni presi in considerazione come periodo minimo di follow up, e più negli ultrasettantenni che in chi aveva meno di 70 anni. Secondo gli autori, i dati sono così interessanti da meritare un approfondimento ulteriore: non si esclude, infatti, che si possa arrivare a consigliare il viagra come terapia preventiva per l’Alzheimer.
Ciò dipende anche dal fatto che non è la prima volta che emerge questo legame, anche se i due studi considerati più rilevanti hanno portato a conclusioni contraddittorie. In uno di essi, infatti, condotto sui dati di più di sette milioni di persone, è emersa una riduzione del rischio addirittura del 69%, ma nell’altro, effettuato anch’esso sui dati di centinaia di migliaia di persone contenuti nei registri del Medicare statunitense (il sistema di assistenza sanitaria pubblica), non si è vista alcuna associazione. Tra i due, sembra più affidabile il primo, per una serie di ragioni statistiche, e per questo si pensa sia razionale approfondire.
Dal punto di vista del possibile meccanismo d’azione, il sildenafil aumenta l’afflusso di sangue e quindi di ossigeno a tutti i vasi, oltre che a quelli del pene, e quindi anche a quelli del cervello, aiutando così a eliminare le placche di proteina beta amiloide che si stanno formando, e abbassando il rischio. Inoltre, nei modelli animali, aumenta la secrezione di acetilcolina, uno dei neurotrasmettitori più coinvolti nelle funzioni cognitive (e non a caso bersaglio di alcuni farmaci utilizzati nell’Alzheimer). Ce n’è dunque abbastanza per andare avanti nelle ricerche.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 14 febbraio 2024
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