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Il semaglutide protegge anche reni dei diabetici, e non solo perché fa perdere peso

Il semaglutide, farmaco che ha rivoluzionato la cura del diabete e quella dell’obesità, capostipite di una famiglia che continua a stupire, è benefico anche per i reni di chi soffre di diabete di tipo 2, e non solo perché aiuta a perdere peso. Lo dimostrano i dati di oltre 3.500 diabetici con una malattia renale avanzata trattati e poi seguiti per una media di 3,4 anni con il farmaco o con un placebo, appena pubblicati sul New England Journal of Medicine. In esso infatti chi aveva ricevuto il farmaco ha avuto una diminuzione del rischio di un peggioramento della malattia renale (inteso come il raggiungimento di una situazione che richiedeva un trapianto o una dialisi) del 24%, uno del rischio di morte per eventi cardiovascolari del 29% e uno del rischio generale di morte del 20%.

Il semaglutide, agonista del GLP1 o Glucagon-Like Peptide 1, oltre a essere associato a una perdita di peso che può arrivare attorno al 15%, e a essere efficace nel diabete, è già stato associato a diversi altri effetti benefici quali quelli sul cuore e sul sistema cardiovascolare, ed è in studio in numerose patologie, come altri membri della stessa famiglia. Uno dei motivi della sua versatilità è probabilmente da ricercare nella sua potente azione antinfiammatoria, che lo rende utile in situazioni anche molto diverse. Il farmaco, che è costoso, presenta tuttavia anche effetti collaterali, e non è ancora del tutto chiaro che cosa succede quanto si interrompe l’assunzione.

Quello che è certo è che attorno al semaglutide e ai farmaci simili c’è anche una potente spinta commerciale, e che i guadagni enormi assicurati a Novo Nordisk, l’azienda danese leader del settore, hanno già cambiato il PIL nazionale danese. Alcune pratiche di marketing molto aggressive della stessa azienda sono state considerate scorrette e poco etiche, ed è quindi sempre bene chiedere informazioni dettagliate al proprio medico, e avere un atteggiamento sempre cauto. Nessuna terapia farmacologica è solo positiva.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 3 giugno 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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