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Il profumo? Emozione, cultura
ma anche tecnica e marketing

di Maria Santoro

Sin dall’antichità, l’olfatto è conosciuto per le sue qualità emozionali, capaci di influenzare la nostra percezione del mondo e di condizionare il nostro stesso benessere. Ma i profumi e gli odori non rientrano solo nella sfera emotiva: la nostra società li ha intrecciati anche a complessi "meccanismi" tecnici, commerciali e di marketing, non sempre facili da decifrare. Di questo si parlerà il 24 ottobre alle 18 nell’ex Asilo Ciani di Lugano, per il ciclo “Arte in Azienda” promosso dalla Facoltà di scienze della comunicazione dell’USI (Università della Svizzera Italiana). Ma non sarà una conferenza classica, perché il professor Claus Noppeney, ospite della serata e specialista di cultura del profumo, condurrà il pubblico - in realtà - lungo un vero e proprio percorso di sperimentazione sensoriale dedicato all’odore (come viene percepito, come viene associato ai ricordi, quale il suo impatto sul desiderio e sul potere).
Noppeney è professore all’Università delle Arti e alla Business School dell’Università di Scienze applicate di Berna, e dal 2009 sviluppa e gestisce progetti culturali e di ricerca legati all’olfatto: sviluppo del prodotto, esperienza del cliente, luogo di lavoro, arte. È responsabile di due borse di studio finanziate dalla Fondazione Nazionale Svizzera per la Scienza, rivolte ai processi di sviluppo dei profumi. Nel 2014 ha avviato (e co-fondato) l’Istituto di Cultura del Profumo in Svizzera. Noi lo abbiamo intervistato in anteprima.

Cosa significa essere uno specialista di cultura dei profumi?

«L’olfatto - dice Noppeney - è sempre stato appannaggio, per lo più, delle scienze naturali. Per esempio, i fisiologi studiano la percezione olfattiva e ne identificano i recettori. I chimici lavorano allo sviluppo di molecole fragranti, e così via. Più recentemente, tuttavia, è stata riconosciuta la rilevanza culturale e sociale dell’olfatto: le persone esprimono e danno senso alle loro esperienze di odori, e confrontano gli odori in relazione l’uno con l’altro. Ancora più importante, sappiamo che l’esperienza olfattiva fornisce il suo contributo a settori culturali e sociali. Si pensi all’importanza dell’odore a una mostra, o all’atmosfera in un sito storico. Nelle università, nelle scuole di arte e design hanno quindi preso vita studi sulla cultura dell’olfatto. Un paio di anni fa ho iniziato a insegnare questa materia agli studenti di economia dell’Università di San Gallo: qual è il ruolo degli odori nell’organizzazione? In che modo l’odore del corpo influenza il lavoro di squadra? In che modo gli odori organizzano lo spazio? Come fanno i manager a gestire un membro del team maleodorante? Queste sono alcune domande su cui gli studenti lavorano. Quest’autunno insegno a Berna all’Università delle Arti un corso di perfezionamento di “Smell & Fake” (olfatto e falsi odori, spesso utilizzati nel marketing olfattivo per esperienze immersive del consumatore)».

Cosa c’è dietro lo sviluppo di un profumo?

«Lo sviluppo di un profumo coinvolge diverse professioni, competenze e processi. Nella profumeria tradizionale, di solito, si inizia con le ricerche di mercato. Un profumo che puoi acquistare in un negozio duty free o in una catena commerciale è un prodotto che spesso imita alcuni profumi esistenti e di successo. Molto diverso, invece, è quello che accade nella profumeria di nicchia, segmento creativo che sta per rivoluzionare completamente il settore: spesso questi profumi sono concettuali, complessi e speciali. Sono fragranze concepite e realizzate da nasi artigiani o piccole aziende, lontane dall’aggressività della profumeria commerciale: inseguono l’estro impalpabile di una suggestione, cercano di riprodurla attraverso l’arte combinatoria degli elementi chimici. Il profumo viene concepito come un magnifico ornamento della personalità di chi lo indossa, simile a un gioiello da vaporizzare».

In che modo il profumo si collega ai nostri ricordi, ai nostri desideri, a ciò che vogliamo essere per gli altri?

«I consumatori usano il profumo per scopi diversi. Alcuni pensano a un profumo come a una nuova forma di autoespressione. Altri come mezzo di gestione delle impressioni (ovvero uno strumento per manipolare la percezione che gli altri hanno della sua immagine). In Svizzera molti consumatori usano i profumi per rispettare alcune regole non scritte. Impiegano un profumo, ma in termini reali non vogliono distinguersi. In questo caso, lo usano semplicemente come un costoso "dispositivo di deodorizzazione"».

Quanto un profumo può influenzare la nostra vita?

«Il potenziale è enorme. Paul Watzlawick ha formulato l’assioma: "Non si può non comunicare". Watzlawick non pensava precisamente all’odorato. Tuttavia, quest’affermazione ci fa riflettere su un fatto fondamentale. Non c’è vita umana estranea all’universo degli odori. Possiamo chiudere i nostri occhi e le orecchie. Non dobbiamo toccare nulla, non dobbiamo parlare né mangiare. Tuttavia, dipendiamo dalla respirazione. Ogni respiro che facciamo attiva i recettori olfattivi!»

Come lavorano i laboratori per studiare "nuovi" profumi?

Ci sono pratiche vicine al lavoro scientifico nei laboratori: l’utilizzo di strumenti tecnici, scale precise e la documentazione scrupolosa di ogni passaggio. Allo stesso tempo ci sono momenti di intuizione, valutazioni sensoriali e scelte estetiche. Una delle sorprese dei nostri studi esplorativi è l’alto grado di soggettività in questo lungo processo. Persino un gruppo di profumieri addestrati professionalmente può percepire e interpretare la stessa molecola in modo completamente diverso: è una nota legnosa? O è una nota verde? Quindi, il contesto conta molto».

Un’ultima domanda, qual è la sua fragranza preferita?

«Non ne ho una. Io uso profumi molto diversi per il gusto dell’esperienza, indipendentemente dalle mie preferenze personali».

Data ultimo aggiornamento 22 ottobre 2018
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: Lugano, Ticino, Università della Svizzera Italiana



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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