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Il primo abitante di Marte probabilmente sarà un muschio: la Syntrichia caninervis - L'Assedio Bianco

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Il primo abitante di Marte probabilmente sarà un muschio: la Syntrichia caninervis

Il primo residente su Marte potrebbe essere un muschio, la Syntrichia caninervis, di solito endemico del Tibet e dell’Antartide, che ha dato prova delle sue straordinarie capacità di resistenza in una serie di test effettuati dai ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze. In base a quanto riferito su Innovation, infatti, oltre a resistere alla siccità, è anche capace di sopravvivere a temperature fino a -196°C, ad altissimi livelli di radiazioni gamma (500 Gy, quando la dose letale per l’uomo è 50 Gy) e all’insieme dei tre elementi combinati.

Uno dei problemi principali che dovranno risolvere gli esseri umani prima di pensare di colonizzare altri pianeti è quello della crescita dei vegetali, indispensabili alla vita umana. Si stanno perciò sperimentando alghe, licheni, spore di piante che possano resistere a condizioni proibitive come quelle del Pianeta Rosso ma, finora, nessun organismo intero aveva superato le prove più dure. Per questo i ricercatori hanno sottoposto Syntrichia caninervis a condizioni estreme. Inizialmente lo hanno lasciato a -80°C per 3 e 5 anni e poi a -196°C per 15 e 30 giorni. In ogni caso, il muschio, una volta scongelato, si è ripreso, anche se impiegando più tempo rispetto a quando era stato solo disidratato e poi reidratato. Lo stesso è avvenuto dopo l’esposizione a 500 Gy: il muschio Syntrichia caninervis sembra essere uno degli organismi più resistenti alle radiazioni mai scoperti.

A quel punto, i ricercatori hanno utilizzato un laboratorio chiamato Planetary Atmospheres Simulation Facility, che simula le condizioni marziane. In particolare, al suo interno la concentrazione di CO2 è del 95%, le temperature “normali sono comprese tra -60 e +20°C, la pressione atmosferica è molto bassa, e piovono radiazioni UV. Il muschio, disidratato e posto nella facility con condizioni ancora simili a quelle di Marte per 1, 2, 3 e 7 giorni, entro 30 giorni ha ripreso vita e si è rigenerato al 100%, e lo stesso ha fatto, sia pure più lentamente, quando è stato introdotto senza la disidratazione preventiva.

E’ presto per impostare progetti basati su Syntrichia caninervis, ma di certo le sue quotazioni come primo vegetale che potrebbe dare un contributo decisivo alla colonizzazione di Marte sono molto alte.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 2 luglio 2024
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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