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La polvere di Marte è tossica. E non si sa come difendere gli umani dai suoi danni

Si fa presto a dire che entro pochissimi anni l’uomo arriverà su Marte. Forse ci arriverà, ma di certo non potrà respirare l’aria del pianeta rosso, a meno che non intenda ammalarsi di silicosi, patologie tiroidee, polmonari e chissà che altro. Lo dimostra uno studio appena pubblicato su GeoHealth, nel quale i ricercatori dell’Università del Colorado di Boulder hanno condotto una serie di test sia in base ai dati trasmessi dai rover presenti sul suolo marziano, sia analizzando alcuni meteoriti giunti direttamente da Marte. Hanno così trovato, nella polvere, una lunga lista di elementi potenzialmente tossici, soprattutto se respirati per lunghi periodi e in grandi quantità. Tra questi, i silicati, gli ossidi di ferro (da cui il caratteristico colore rosso del pianeta), il berillio, l’arsenico e i perclorati. Uno dei problemi è che, anche se gli astronauti indossassero tute ermetiche e respirassero l’ossigeno delle bombole o dei veicoli, su Marte ci sono spesso fortissime tempeste di polvere, e la gravità ridotta non permette alla polvere dispersa nell’aria di depositarsi. Il risultato è che, come accade anche sulla Luna, la polvere arriva dappertutto. La polvere è talmente presente che, secondo i calcoli, in alcune zone come i vulcani forma stari alti più di dieci metri. Ed essendo in particelle che arrivano a un diametro di pochi micron (millesimi di millimetro), neutralizzarla è impossibile. Entrerebbe nei polmoni degli astronauti, e non potrebbe più uscire perché il muco non riesce a rimuovere particelle così piccole. Lì causerebbe allergie, patologie polmonari come la silicosi, mentre i perclorati danneggerebbero la tiroide e darebbero gravi anemie, e chissà che altro. C’è quindi molto lavoro da fare prima di capire come risolvere la questione, sui filtri e non solo (per esempio, sui supplementi da dare agli astronauti per contrastare gli effetti della polvere). E le gite su Marte, per il momento, sono più che altro una speranza.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 23 aprile 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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