Questo sito utilizza cookies tecnici per l'analisi del traffico, in forma anonima e senza finalità commerciali di alcun tipo; proseguendo la navigazione si acconsente all'uso dei medesimi Ok, accetto

Il morbo di Raynaud ha una base genetica,
e da questa potrebbero arrivare nuove cure

Nel 1862, l’aspirante medico francese Maurice Raynaud descrisse, nella sua tesi di laurea, una strana condizione che, da allora, porta il suo nome: le mani - dita e unghie comprese - di alcune persone, diventavano bianche improvvisamente, soprattutto in condizioni di stress psicologico o ambientale come una giornata particolarmente fredda. Dei 25 casi descritti, 20 erano donne.

Da allora è passato molto tempo, ma la malattia non è mai stata compresa fino in fondo. Ora però uno studio condotto dai reumatologi dell’ospedale Charité di Berlino, e pubblicata su Nature Communications, compie un passo in avanti decisivo, che potrebbe avere ripercussioni anche terapeutiche: la predisposizione a sviluppare la condizione è scritta nel genoma, e ciò aiuta a capire che cosa succede.

Per verificare l’esistenza di un’eventuale causa genetica, gli autori hanno scandagliato i dati clinici di circa 500.000 persone, individuandone circa 5.000 colpite dalla Reynaud (si stima che l’incidenza sia compresa tra il 2 e il 5% della popolazione). Quindi hanno sottoposto i dati dei loro genomi a un’indagine specifica, e hanno individuato le varianti di due geni che sono particolarmente associate alla condizione.

La prima si chiama ADRA2A, e codifica per uno dei recettori del neurotrasmettitore adrenalina, quello chiamato 2A, particolarmente importante per la contrazione dei vasi in risposta allo stress; in chi ha la Reynaud, questo gene sembra essere particolarmente attivo, e ciò significa che la costrizione dei vasi arriva in seguito a stress che normalmente non hanno grandi conseguenze. Anche il secondo gene, che si chiama IRX1, ha a che fare con l’elasticità dei vasi, e la sua iperespressione che amplifica ulteriormente la risposta dei vasi, rallentando anche il ripristino di a una condizione di normalità. Tutto ciò spiega perché le mani diventino ipossiche (cioè prive di ossigeno), e lo restino a lungo.

Inoltre, chiarisce perché le terapie farmacologiche proposte finora, tutte rivolte ad altri bersagli, siano sempre state scarsamente efficaci, e indica  possibili ambiti in cui cercarne di nuove. Per esempio, l’antidepressivo mirtazina, attivo sul recettore A2 della noradrenalina, potrebbe essere efficace.

In ogni caso, avere un’idea più precisa di che cosa avviene, e anche di chi è più a rischio, è sempre un primo passo fondamentale per trovare una cura per una condizione che, pur non essendo particolarmente grave, preoccupa chi ne è colpito, e a volte può essere associata a dolore e rigidità della mano.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 30 ottobre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



Warning: Use of undefined constant lang - assumed 'lang' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Notice: Undefined index: lang in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

Chiudi

Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

VAI ALLA VERSIONE COMPLETA