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Quando i disturbi psichiatrici dipendono,
in realtà, dal sistema immunitario

di Agnese Codignola

Allucinazioni. Vuoti di memoria. Depressioni profonde. Crisi psicotiche. Insonnia. Questi e altri sono sintomi psichiatrici, tipicamente associati a malattie quali disturbo bipolare, schizofrenia, paranoia. Ma possono essere anche altro: possono essere le manifestazioni ultime di un’infiammazione del cervello o encefalite le cui cause sono da ricercare altrove, e cioè nel sistema immunitario. Possono infatti essere i sintomi di decine di (rare) malattie autoimmuni, che solo da pochi anni iniziano a essere comprese, diagnosticate e, in qualche caso, curate o, quantomeno, tenute a bada nelle loro declinazioni più gravi.

Il settore è in piena evoluzione, e anche per questo la rivista Science ne ha voluto ricostruire la storia, partendo da quella di alcuni dei malati che, dopo anni di diagnosi errate e di terapie inefficaci, hanno trovato medici e ricercatori che sono andati oltre gli esami di routine, e hanno aperto una porta su un mondo fino ad allora inesplorato.

Negli ultimi 15 anni sono state ufficialmente censite almeno 18 patologie autoimmuni che danno luogo a sintomi psichiatrici e sono sorti centri ad altissima specializzazione sia negli Stati Uniti che in Europa. Uno di questi è lo Stavros Niarchos Foundation Center for Precision Psychiatry & Mental Health, che ha in programma uno screening a tappeto dei malati in cura presso 14 centri psichiatrici dello stato di New York, per un totale di 3.000 persone che potrebbero avere una malattia autoimmune. In tutti costoro saranno cercati auto-anticorpi che hanno origine direttamente nel cervello, o che vi arrivano attraverso il sangue, e che sono diretti contro diversi tipi di bersagli: cioè, semplificando, proteine che si trovano nelle sinapsi, cioè nella zona di scambio di informazioni tra due neuroni o in altre zone delle cellule nervose. La reazione provoca una violenta infiammazione che, a sua volta, spiega i sintomi psichiatrici.

LA PRIMA MALATTIA AUTOIMMUNE-PSICHIATRICA - Il primo a capire che ciò che stava continuando a vedere in alcuni dei suoi pazienti poteva essere qualcosa di diverso da una classica patologia psichiatrica è stato Josep Dalmau, un neuro-oncologo della Clinica Universitaria di Barcellona, in Spagna, che nel 2007 ha descritto l’encefalite da anti recettore dell’NMDA (o N-metil-D-aspartato, un neurotrasmettitore i cui recettori sono diffusi in tutto il cervello).
Cresciuto nella Catalogna rurale, Dalmau si appassionò alla medicina grazie a un libro di anatomia in quattro volumi regalatogli dai genitori. Diventato studente e interno presso l’Ospedale di Sant Pau a Barcellona, iniziò a interessarsi delle complicanze neurologiche dei tumori e delle terapie oncologiche, per poi ricevere un’offerta per un dottorato allo Sloan Kettering Memorial Cancer Center di New York. Purtroppo in quel periodo alla giovane moglie Martha giunse una diagnosi di tumore metastatico, che la porterà via nel 1988, e Dalmau decise di sospendere la propria attività. La riprese solo dopo la morte della moglie, in un momento molto difficile, mentre affrontava una depressione, e con una conoscenza della lingua inglese approssimativa. Ma le cose iniziarono a cambiare, anche grazie a quella che diventerà la sua seconda moglie, Myrna Rosenfeld, una collega che Dalmau seguirà all’Università della Pennsylvania, dove lei ha poi  coordinato uno studio sui tumori cerebrali. Dalmau, invece, iniziò a studiare alcune rare condizioni tipiche dei malati di tumore cerebrale, mediate da anomalie dei linfociti T, protagonisti assoluti della risposta immunitaria. Proprio per questo, Dalmau un giorno fu chiamato per un consulto: una ragazza di 26 anni era ricoverata in terapia intensiva, e nessuno capiva che cosa le fosse successo. I primi, improvvisi sintomi erano stati un riso irrefrenabile, la paranoia e un atteggiamento molto aggressivo. Nessun antipsicotico, né antibiotico (dato in caso si trattasse di un’infezione batterica), aveva avuto effetto, e la donna aveva sviluppato gravi tic e difficoltà respiratorie, che le avevano causato un coma, e la necessità di una respirazione assistita con intubazione. A parte i marcatori dell’infiammazione, la ragazza aveva un tumore raro dell’ovaio, un teratoma, e per questo i medici che la curavano avevano chiamato Dalmau.

Dopo aver escluso anche le infezioni virali, i medici avevano deciso di somministrarle cortisonici, nel tentativo di tenere bassa l’infiammazione. Il miglioramento era stato rapido, ed entro un anno la paziente era tornata a una vita quasi normale.

Nei mesi precedenti, gli stessi medici avevano avuto altri tre casi simili: donne con teratoma ovarico, e sintomi psichiatrici. Il dubbio era quindi che qualche anticorpo, generato in risposta al tumore, avesse preso di mira il cervello. Ma come capire se era davvero così? Dalmau pensò di cercare gli autoanticorpi non nel sangue, ma nel liquido cerebrospinale (che circonda il cervello e il midollo spinale), e in effetti trovò autoanticorpi mai descritti prima, diretti contro i recettori dell’NMDA o NMDAR, che potevano spiegare quello che sembrava un nuovo tipo di malattia autoimmunitaria.

Subito dopo la pubblicazione dei suoi risultati sugli Annals of Neurology, nel 2007, il medico fu sommerso da segnalazioni, mail e telefonate di colleghi da tutto il mondo che avevano avuto esperienze simili, senza riuscire a trovare una spiegazione plausibile: era nata la prima malattia di questo tipo. In realtà, la prima segnalazione in assoluto è del 1843, quando un medico austriaco descrisse il caso di una donna che presentava gli stessi sintomi della ventiseienne di Dalmau. In seguito, nei primi anni novanta, il neurologo pediatrico francese Guillaume Sébire descrisse una situazione simile in sei bambini, ma fino al lavoro di Dalmau nessuno era riuscito a capire di che cosa si trattasse.

In particolare, i sintomi dell’encefalite anti NMDAR comprendono anche un’ipersessualità, convulsioni, allucinazioni terrificanti, dovute al fatto che uno degli organi dove si concentra la reazione autoimmune è l’amigdala, il centro della paura. Secondo Dalmau, a questa malattia sarebbero dovuti anche alcuni dei casi interpretati come possessioni demoniache, proprio per il terrore che i malati mostrano. Secondo Sébire, anche il caso che ispirò il film del 1971 L’esorcista sarebbe un caso di encefalite da anti NMDAR. E l’aspetto drammatico è che alcuni degli antipsicotici che i medici hanno somministrato per anni a questi pazienti come l’aloperidolo e la clorpromazina, che agiscono sulla dopamina, peggiorerebbero la reazione autoimmune, mandando il paziente in coma e non di rado causandone la morte.

Oggi, la prima terapia è la plasmaferesi, una sorta di filtraggio del plasma (la parte liquida del sangue), che ha lo scopo di eliminare gli autoanticorpi, oppure la somministrazione di immunoglobuline specifiche, insieme a dosi talvolta elevate di steroidi per contrastare l’infiammazione.

IDENTIFICATE 18 PATOLOGIE - Dopo la scoperta del 2007, Dalmau e la moglie tornarono in Spagna, a Barcellona, dove insieme al collega Francesc Graus continuarono a lavorare sul tema. A loro si deve la descrizione di 11 delle 18 patologie finora riconosciute tra le quali, per esempio, una chiamata da Ig (immunoglobuline) LOL5, caratterizzata da disturbi molto gravi del sonno, spesso mortale, nella quale si accumulano anche proteine tau, le stesse che sono evidenti nella demenza di Alzheimer.

La seconda, per diffusione, è però quella denominata da anti LGI1, caratterizzata da vuoti di memoria, crampi muscolari, convulsioni, e se riconosciuta può essere trattata. Science racconta la storia di un paziente di Dalmau che nel 2019, improvvisamente, perse la memoria, e che poi migliorò, dopo un’immunoterapia, anche se ancora oggi ha grandi buchi neri nei ricordi della sua vita precedente alla malattia.

ORIGINI MISTERIOSE - Se per alcune delle persone con anti NMDAR la causa è un teratoma, per le altre, così come per i malati delle altre sindromi autoimmuni, le cause prime restano in gran parte sconosciute. Nella stessa anti NMDAR, nel 5% dei casi potrebbe trattarsi della conseguenza ultima di un’infezione da herpesvirus, che resta silente nelle terminazioni nervose anche per lunghissimi periodi, causando la morte di molte cellule. Sarebbero queste cellule che, morendo, rilascerebbero in circolo proteine contro il quale l’organismo reagirebbe, innescando la reazione autoimmune.
La ricerca sta andando avanti per comprendere meglio che cosa accade, anche se la (fortunatamente) bassissima incidenza di queste malattie (la NMDAR colpisce 1,5 persone su un milione) rende gli studi complicati e difficili da portare avanti. Continuano però a essere descritti casi sospetti, come quello segnalato da psichiatri tedeschi, che hanno trovato in un giovanissimo genio del pianoforte, di soli 21 anni, al quale è stata diagnosticata una schizofrenia, un quadro anticorpale assolutamente anomalo, e altri casi.

IL CENTRO DI FRIBURGO - In Europa il centro di riferimento è senza dubbio la clinica di Friburgo, in Germania, dove lavorano Ludger Terabartz van Elst e Kimon Runge, grazie anche a una donazione da 400.000 euro elargita a questo scopo da un benefattore. A quel centro fanno riferimento pazienti che hanno quasi sempre affrontato una lunga odissea, come una donna che, dopo una tiroidite di Hashimoto (malattia autoimmune) diagnosticata nel 2005, mentre studiava medicina lei stessa, nel 2017 iniziò a soffrire di stati confusionali inspiegabili e di fatigue (sensazione continua di affaticamento), tanto che nel 2023 non si alzava dal letto. Nei tre anni successivi ai primi sintomi nessuno riuscì ad aiutarla, fino a quando non giunse a Friburgo. Lì arrivò finalmente la diagnosi: sindrome da anticorpi anti contactin-associated protein- like 2 (CASPR2), in seguito curata con dosi massicce di cortisonici per endovena. Oggi la donna ha recuperato quasi del tutto.

Ma il suo caso è un’eccezione: secondo Terabartz van Elst, solo l’1% di chi arriva alla sua attenzione con un sospetto di encefalite autoimmune ne ha effettivamente una.
Tuttavia, nel 20% dei casi sospetti, gli stessi medici e ricercatori trovano autoanticorpi, ma del tutto sconosciuti, e stanno quindi cercando di andare avanti nella caratterizzazione di questo anticorpi, per individuare altre malattie simili.

Se non altro, alcuni di questi casi rispondono bene alle terapie immunologiche, anche se non si conosce la malattia. 

Inoltre, esiste il rischio di falsi negativi e di falsi positivi, quando si cercano autoanticorpi poco caratterizzati, e sarò necessario quindi migliorare molto i test.

Infine, come afferma Terabartz von Elst su Science, poiché l’idea che gravi patologie psichiatriche possano avere una causa autoimmune e quindi possano essere curare è attraente, dal punto di vista scientifico, esistono anche, nella letteratura, segnalazioni fantasiose e prive di fondamento: bisogna essere molto cauti. E bisogna non illudere i pazienti: anche quando la causa è di questo tipo, il recupero quasi mai è completo, i farmaci non sempre funzionano, e anche quando ciò accade, il trattamento richiede lunghi anni di terapie spesso problematiche, e da definire di volta in volta.

LE CURE SPERIMENTALI - Infine, si sta sperimentando il rituximab, un anticorpo monoclonale usato da molti anni contro alcuni tumori del sangue, che prende di mira una proteina (la CD20) che si trova sulle cellule B progenitrici degli anticorpi e che potrebbe quindi fermare la reazione autoimmune a monte. Ma le speranze più forti sono riposte in uno studio chiamato ExTINGUISH, coordinato dall’Università di Yale e da quella dello Yutah, nell’ambito del quale si sperimenterà, nei malati di anti NMDAR, un anticorpo chiamato inebilizumab, già usato in altre malattie autoimmuni, e diretto contro un’altra proteina delle cellule B, la CD19, che sembra più adatta, come bersaglio, rispetto alla CD20. I risultati dovrebbero essere disponibili entro il 2027.

Data ultimo aggiornamento 31 maggio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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