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La malattia "dei vichinghi" arriva dai nostri
avi neanderthaliani, parola di Nobel

La chiamano familiarmente la malattia dei vichinghi, perché nei paesi del nord Europa è molto più frequente rispetto ad altre zone del mondo, e secondo alcune stime colpirebbe addirittura il 30% dei norvegesi con più di 60 anni. Il suo nome scientifico è malattia di Dupuytren, e la sua manifestazione è una rigidità alle dita della mano che può arrivare alla completa immobilità, in posizione flessa, di una o più dita (molto spesso l’anulare). Ora, grazie a uno studio effettuato dal paleogenetista Svante Paabo, premio Nobel 2022 per le medicina, se ne sa qualcosa di più: la sua origine, infatti, è anche nei geni ereditati dai Neanderthal. Come riferito su Molecular Biology and Evolution, i ricercatori del Max Plank Institute di Paabo insieme ai colleghi dell’Università del Michigan e del Karolinska Institutet di Stoccolma, lo hanno scoperto analizzando il genoma di 7.800 persone affette e di 645.000 controlli, individuando 61 ampie zone di variazioni del genoma associate a un rischio molto maggiore di sviluppare la malattia. Ma la seconda e la terza variante sono risultati essere “pezzi” di genoma che arrivano direttamente dai Neanderthal.

La particolarità genetica collima con la spiegazione antropologica, perché i Neanderthal erano soprattutto in Europa, dove hanno lasciato tracce genetiche che occupano il 2% del genoma degli attuali europei, mentre in altre zone del mondo erano meno presenti, come conferma che gli africani di oggi hanno molti meno frammenti di questo tipo, e gli asiatici hanno il 5% di geni derivanti dai denisoviani, un altro gruppo di ominidi. Ciò spiega la distribuzione della malattia attuale, anche se di sicuro c’entrano anche altri fattori quali l’abuso di alcol, l’età e il diabete.

Ma nell’80% dei casi c’è un’ereditarietà. La quale, di antenato in antenato, risale ad almeno 42.000 anni fa.


Data ultimo aggiornamento 27 giugno 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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