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Il defibrillatore salva la vita anche quando l’ambulanza arriva entro due soli minuti

La presenza di un defibrillatore esterno automatico o AED aumenta le probabilità di sopravvivenza dopo un arresto cardiaco, anche quando l’ambulanza arriva entro pochissimi minuti. Lo dimostra uno studio presentato al recente congresso della European Society of Cardiology svoltosi ad Amsterdam, in cui i ricercatori dell’Ospedale Nordsjaellands di Hilleroed, in Danimarca, hanno preso in esame i dati di sopravvivenza del Danish Cardiac Arrest Registry fino a un mese dopo un arresto cardiaco. In totale, sono stati verificati i dati di oltre 7.400 adulti, che avevano avuto un arresto in presenza di un testimone, e che erano stati soccorsi da personale medico di un’ambulanza entro 25 minuti, ma anche sottoposti a rianimazione cardiopolmonare CPR con o senza l’impiego del defibrillatore. L’intervallo di 25 minuti è stato suddiviso in 8 possibili finestre temporali tra i due eventi, per verificare se la defibrillazione fosse sempre efficace.

Innanzitutto, è risultato che solo circa il 15% dei pazienti era stato sottoposto a defibrillazione, mentre gli altri no: c’è quindi un grande spazio di miglioramento. Inoltre, tra i primi, defibrillati, a un mese dall’evento era ancora in vita il 44%, mentre tra i secondi solo il 18,8%: una differenza davvero rilevante, che si è stata confermata anche negli intervalli di tempo. Infatti, la probabilità di sopravvivenza si è rivelata essere superiore del 37% quando i soccorsi arrivano entro 2-4 minuti, del 55% per un’attesa di 4-6 minuti e circa doppia per gli intervalli superiori. L’unico intervallo in cui non si vede differenza è quello compreso tra zero e due minuti, cioè se l’ambulanza arriva entro due minuti, o è già presente. 

Il defibrillatore – hanno sottolineato gli autori – è facile da usare, e andrebbe sempre impiegato, anche da persone che non hanno alcuna esperienza. Il problema è piuttosto un altro: ce ne sono troppo pochi a disposizione, soprattutto nelle zone più isolate e, quindi, più difficili da raggiungere per i mezzi di soccorso. Visto il grande beneficio, a fronte di costi relativamente contenuti, sarebbe opportuno aumentarne la presenza ovunque.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 28 agosto 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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