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Il circolo vizioso o loop: teoria o realtà fisica?

di Maria Giovanna Luini

Ogni volta che azzardo una riflessione sul potere creativo delle emozioni arriva puntuale il commento di chi, volendo ostentare una certa conoscenza della materia o semplicemente avendo il gusto della puntualizzazione, spiega che attribuire alle emozioni una capacità creativa sulla realtà sia la base del cosiddetto pensiero positivo. Che in parte sia vero è innegabile, ma ridurre tutto a una teoria un po’ New Age che fa vendere manuali ma non esaurisce l’enorme capacità emotiva della nostra psiche è ingiusto. Sarebbe come definire Wayne Dyer (lo conoscete?) il filosofo del pensiero positivo: non lo è stato, i suoi libri non hanno mai avuto questo significato. Il pensiero positivo, se vogliamo chiamarlo così, è solo una delle possibili conseguenze del potere creativo delle emozioni.

Con il pensiero e con le emozioni a esso collegate possiamo tra(n)s-formare la realtà fisica, la salute o malattia, gli eventi: questa verità contiene in sé la potenzialità per la più felice delle consapevolezze ma, se ci pensate, contiene anche la condanna fatale all’infelicità per chi tarda a comprendere come gestire pensieri ed emozioni. Siamo noi a creare la luce o il buio - sono i nostri pensieri carichi di emozioni - e più le emozioni sono forti e durature (belle o brutte non importa), più la creazione diventa certa e perfetta: ecco perché spesso le più grandi e ataviche paure della gente si verificano sul serio. La potenza creativa non distingue tra desiderio positivo e profonda paura: là dove il pensiero si unisce a grosse emozioni, crea. La cautela nel desiderare, nel temere e nel lasciarsi ossessionare da passioni e fobie dovrebbe essere uno dei nostri primi obblighi verso noi stessi.

Questo post nasce dalla constatazione che esistano numerose occasioni pericolose per il binomio corpo-mente: una di queste occasioni è l’attorcigliarsi intorno ad asserzioni negative che riguardano una parte della realtà quotidiana, perdendo di vista i milioni e milioni di opportunità per modificare in meglio l’energia della mente, delle emozioni, del corpo. Le crisi che mettono alla prova la nostra vita possono sfociare in una specie di loop, un circolo vizioso che ha alla base una visione unica, monolitica e quasi sempre depressiva. 

Quante volte in una crisi ci convinciamo che qualunque cosa accada tutto andrà male in ogni caso? Quante volte siamo circondati da gente che, a proprio modo, vorrebbe aiutarci, ma non sappiamo fare altro che lamentarci e ricordare al mondo che nessuno ci capisce, siamo tristi e soli, nessuno ha mai provato la disperazione che proviamo noi? Quante volte impieghiamo ore e ore e giorni e settimane rimuginando sempre sullo stesso nostro dramma e impediamo a idee nuove, possibili soluzioni, aiuti esterni di penetrare la barriera che noi stessi abbiamo creato? Quante volte una relazione d’amore si complica perché si entra in un vortice di recriminazione che assomiglia sempre a se stesso e reitera le medesime accuse senza che una delle parti decida di interrompere il disastroso insistere?

Il circolo vizioso è comprensibile là dove dolore, frustrazione, insicurezza, trauma siano particolarmente forti. Per un periodo di tempo, anzi, è normale che mente, emozioni (e corpo) restino congelati su dati univoci e visioni chiuse di una e una sola realtà: è l’effetto del dolore, del caos, dello smarrimento. Pensiamo a un lutto, alla perdita di un lavoro, all’improvviso crollare di una coppia consolidata che era convinta di amarsi: per un po’ è logico affrontare lo shock per le mutate condizioni girando sempre intorno a uguali pensieri e uguali attaccamenti emotivi. Ma se il loop diventa cronico - cioè perdura per un tempo innaturale - il pensiero fisso intriso di emozioni buie e distruttive inizia a modificare in peggio la realtà. Lo fa con il mondo circostante, con le relazioni, con la salute del corpo. 

Un circolo vizioso diventa un grave pericolo non tanto perché dentro ci si sta male e sembra che la sofferenza non finisca mai: il vero danno nasce dalla capacità creativa di quei pensieri e di quelle emozioni che, ripetuti ossessivamente e senza remissione, iniziano a creare pezzi di realtà. Ciò che temiamo, odiamo, definiamo incubo diventa parte della verità fisica. Sono molto d’accordo con gli psicologi che ritengono inutile immergersi troppo a lungo nelle elucubrazioni su un dolore, su una rabbia, su un ricordo traumatico: affrontarli è giusto, renderli un totem intorno cui vagare nel buio senza altri pensieri è catastrofico. E nelle liti, nelle contese di coppia le analisi consapevoli sono senza dubbio utili, ma concentrarsi in modo ossessivo su argomenti unici – di solito quelli che non si possono risolvere – non fa altro che generare rancore, maggiore distanza e bruciante delusione. 

Un circolo vizioso è dunque una turbina che genera energia creativa, e il più delle volte la creazione ci sembra totalmente indesiderabile: il fatto è che non abbiamo ancora accettato che la mente e le emozioni possono e dovrebbero essere sotto il nostro amorevole, benevolo ma fermo controllo. Per evitare che la turbina scateni una condizione ancora peggiore non esiste altra scelta: a ogni costo e senza indugio il circolo vizioso va interrotto, fermato, aperto ad aria più sana e pulita. Aperto al rischio del nuovo. Come? Beh, dipende dalla situazione ma come diceva mia nonna: «Chi ha più testa la usi».

Data ultimo aggiornamento 6 febbraio 2016
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: mente e corpo



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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