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I tatuaggi aumentano il rischio di linfoma,
e gli inchiostri sono spesso contaminati

Gli amanti dei tatuaggi dovrebbero pensarci bene, prima di procedere con i disegni sulla pelle. Due studi usciti a distanza di pochi giorni mettono infatti in luce due possibili rischi, entrambi non trascurabili.

Nel primo, pubblicato su EClinical Medicine dai ricercatori dell’Università di Lund, in Svezia, è stata avanzata l’ipotesi che i tatuaggi, specie se fatti in giovane età ed estesi, siano associati a un aumento del rischio di sviluppare un linfoma. L’ipotesi arriva dalle risposte a specifici questionari date da poco meno di 12.000 persone, 3.000 delle quali con un linfoma scoperto quando avevano tra 20 e 60 anni. Circa 1.400 persone con un linfoma hanno riposto, così come hanno fatto circa 4.200 senza. Alla fine, è emerso che il linfoma aveva colpito il 21% delle persone tatuate, e il 18% dei controlli. E’ emerso quindi un aumento del rischio di circa il 21%, anche se non è possibile dimostrare l’esistenza di un nesso causale, ma solo quella di una relazione. La spiegazione potrebbe essere nello stadio di infiammazione cronica indotta dal fatto che l’inchiostro è comunque una sostanza estranea, che il corpo riconosce come tale, e contro la quale reagisce. Se lo fa cronicamente, le conseguenze possono essere anche gravi.

Nel secondo, pubblicato su Applied and Environmental Microbiology dai ricercatori della Food and Drug Administration, a essere sotto accusa sono invece gli inchiostri. Gli autori ne hanno analizzati ben 75, venduti da 14 produttori, e hanno scoperto che il 35% dei campioni era contaminato da batteri. E’ indispensabile migliorare procedure di produzione, affinché non vi siano contaminazioni, e i controlli post vendita – hanno concluso i ricercatori. E se proprio non si vuole rinunciare al tatuaggio, è bene cercare studi professionali altamente qualificati che possono garantire la massima igiene di aghi e inchiostri.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 11 luglio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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