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Aumentano nei bambini le reazioni
ai cibi etnici (buoni, ma "sconosciuti")

Una commissione della Società Italiana di Allergologia e Immunologia pediatrica sta studiando il problema. Verrà creato un registro in cui inserire i dati provenienti dagli ospedali, per migliorare le terapie

di Antonella Cremonese (Fondazione Umberto Veronesi)

Da bambino non ha mai sofferto di allergie, ed ecco che un adolescente si ricopre di pomfi. Che cosa gli avrà fatto male?  Risponde l’allergologo pediatra Alberto Martelli, responsabile dell’unità operativa complessa di Pediatria dei presidi ospedalieri di Garbagnate e di Bollate (Milano): «Può darsi che ci troviamo di fronte a un’allergia rara. Il ragazzo non è più sotto l’ombrello protettivo della mamma, comincia a uscire da solo, ad assaggiare piatti inconsueti». Magari ha mangiato polpette di quinoa, la pianta sacra degli Inca, o una macedonia con mango, o un pollo con semi di sesamo, insomma  uno dei tanti cibi etnici buoni e gustosi, che però in qualcuno scatenano reazioni allergiche. Oppure ha gustato un piatto molto gradito dai ragazzi, cioè un bel würstel con mostarda. Dice Martelli: «Le allergie alimentari in età pediatrica (e sottolineo che questa età va da zero a 18 anni) hanno  per ora una prevalenza media del 5 per cento, e si pensa che siano destinate ad aumentare. Normalmente, si pensa alle uova, al latte, al pesce, alle nocciole, alle arachidi, alle fragole, al cioccolato. Sono le allergie alimentari più comuni e conosciute, anche se a volte incolpate a torto: per esempio, le fragole creano pochissime allergie. Poi, però, ci sono quelle rare, non solo provocate da cibi etnici cui non si è abituati, ma scatenate fin da bimbi anche per colpa di cibi che normalmente hanno pochissimo potere allergizzante, come i pomodori o le patate, usatissimi in tutte le famiglie. O la rara allergia allo zafferano, che si mette normalmente nel risotto. In questi casi è la mamma che pone la diagnosi. Infatti se la reazione è a comparsa immediata, già durante l’assunzione dell’alimento, la madre è in grado di collegare gli eventi e di individuare il cibo responsabile della reattività. Se la reazione allergica risulta ritardata, la diagnosi non sempre è così agevole». Ma anche per il pediatra potrebbe essere un enigma. E’ per questo che la Siaip, la Società italiana di allergologia e immunologia pediatrica, ha deciso di andare a fondo sul problema.

REGISTRO DELLE ALLERGIE RARE - Spiega  l’allergologo: «Una commissione di cui sono il coordinatore ha  deciso di creare un “registro” delle allergie alimentari rare in età pediatrica, in cui far confluire da tutti gli ospedali le schede informatizzate relative ai segni e ai sintomi, al trattamento, ai risultati raggiunti. Ricordo che, secondo la definizione alimentare, un’allergia viene annoverata come rara quando coinvolge meno di 5 bambini su 10mila. Quando il pediatra si trova alle prese con uno di questi rari casi, è utilissimo che possa confrontarlo con altri.»
Ma che fare se si ha un bambino con allergia alimentare, rara o comune?  Risponde Martelli: «Nessun problema se si tratta di alimenti strampalati: basta eliminarli, sempre che sia facile farlo. Ma nel caso di allergie ai cibi più comuni, si può provare  la  desensibilizzazione, che consiste nel somministrare al bambino una quantità infinitesima, ma crescente, del cibo cui è allergico. Lo si fa in regime di ricovero, in modo da avere la massima sicurezza contro reazioni anafilattiche»

PROMEMORIA SALVAVITA - Attenzione e controlli risolvono molte situazioni, e spesso le allergie alimentari evolvono spontaneamente verso la guarigione, man mano che il bambino cresce.  Resta il dramma delle reazioni anafilattiche definite «severe», che possono mettere in pericolo la vita dei bambini più suscettibili. Dice Martelli: «Si tratta di non farsi cogliere impreparati. Per questo come Siaip  abbiamo preparato un “piano d’azione” che è stato approvato dal Food Allergy Anaphylaxis Network (Faan) e contiene una serie di istruzioni per la famiglia, la scuola,  e il bambino stesso, a partire dagli 8-9 anni d’età, nel caso di queste reazioni gravi: dall’assunzione di antistaminici orali, all’iniezione di adrenalina con iniettore automatico. Subito dopo il trattamento - che deve essere immediato, senza perdere tempo a cercare genitori o medici -  bisogna chiamare il 118, informare della reazione allergica grave e del trattamento già in corso, e far portare d’urgenza il bambino in Pronto Soccorso, dove verrà tenuto in osservazione per almeno 8 ore, in virtù di una possibile reazione bifasica. Questo “piano d’azione” è un promemoria che il bambino deve avere con sé, e che è firmato dal pediatra e dai genitori, con i numeri di telefono di tutti e tre.»

Data ultimo aggiornamento 21 dicembre 2013
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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