Questo sito utilizza cookies tecnici per l'analisi del traffico, in forma anonima e senza finalità commerciali di alcun tipo; proseguendo la navigazione si acconsente all'uso dei medesimi Ok, accetto

I Nobel nelle discipline scientifiche:
una questione ancora solo fra uomini

Victor Ambros (a sinistra) e Gary Ruvkun, vincitori del Premio Nobel per la medicina nel 2024 (foto Getty Images)

di Agnese Codignola

Stoccolma, abbiamo avuto un problema. Si potrebbe parafrasare così la celeberrima frase pronunciata da Jack Swigert, pilota della sfortunata missione lunare Apollo 13 il 13 aprile del 1970, per segnalare quanto, nell’assegnazione dei premi Nobel, la parità di genere sia ancora una lontanissima chimera. Anche quest’anno, infatti, come accaduto 12 volte negli ultimi venti, tutti i premi delle discipline scientifiche sono andati a scienziati maschi, e solo quello per la letteratura è stato attribuito alla scrittrice sudcoreana Han Kang. 

Del resto, la rivista Nature, pochi giorni prima degli annunci, in un articolo provocatorio, realizzato con videoanimazioni grafiche molto efficaci, e intitolato Come vincere un premio Nobel, aveva preannunciato che i maschi attorno ai cinquant’anni, preferibilmente caucasici, europei o nordamericani, ai vertici della carriera e conosciuti per aver realizzato ricerche importanti, avrebbero dovuto tenere il telefono sempre acceso e vicino, perché, stando alla statistica, quello era il profilo del vincitore, e la fatidica telefonata da Stoccolma, che precede di poche ore l’annuncio ufficiale, sarebbe arrivata a giorni: previsione rispettata in pieno.

OLTRE UN SECOLO DI DECISIONI DISCUTIBILI - Anche tenendo conto del fatto che il mondo accademico è stato dominato per decenni da uomini, i quali raccolgono oggi il frutto del loro lavoro, le scelte dei giurati in molti casi non sembrano permeate dal desiderio di andare oltre, uscire da schemi ormai obsoleti, approfondire la realtà dei laboratori e dare maggiore visibilità alle donne, che costituiscono la maggior parte del personale ai livelli medio-bassi della ricerca, spesso in modo non appropriato rispetto al lavoro svolto e alle idee messe in campo. Un atteggiamento ancora meno giustificabile se si considera che, come avvenuto negli ultimi anni, appena si approfondisce emergono donne che sono state ignorate, ma che avrebbero avuto altrettanto diritto a ricevere l’ambito premio (e il denaro che esso porta con sé), perché, negli anni avevano dato contributi cruciali al tema oggetto del premio. 

È accaduto, per esempio, a Rosalind Franklin, la chimica che per prima fotografò (tramite una tecnica chiamata diffrazione a raggi X) la struttura cristallina del DNA, nel 1951. Quell’immagine – chiamata appunto foto 51 - fu mostrata a sua insaputa a James Watson e Francis Crick, che la utilizzarono per elaborare la loro teoria sulla doppia elica del codice genetico, nel 1953, e anche grazie a essa vinsero il premio Nobel nel 1962. Franklin morì nel 1958, per un tumore ovarico, e non fece in tempo a vedere riconosciuto il suo lavoro. Watson e Crick non lo chiesero mai scusa - in un libro pubblicato dopo il premio, i due la definirono “la terribile e bisbetica Rosy”, rivelando anche tutta la loro misoginia. Per fortuna, però, negli ultimi anni molte ricostruzioni di quanto avvenuto allora grazie al diversi storici della scienza hanno dimostrato che senza la sua foto 51 e altri suoi contributi ineludibili non ci sarebbe stata la scoperta della struttura del DNA. Per lo meno non in quel momento e in quel luogo, e non per mano di quei due ricercatori maschi, che erano molto indietro, in realtà, negli studi sulla doppia elica.

LA ROSALIND DEL 2024 - Anche la storia del premio di quest’anno ha una sua Rosalind che, secondo diversi esperti del settore dell’RNA, avrebbe dovuto vincere come minimo ex-aequo: Rosalind Lee, moglie del premiato per la medicina e fisiologia Victor Ambros (insieme a Gary Ruvkun).
Il premio del 2024 è andato infatti agli studi sui micro RNA, frammenti di materiale genetico che hanno un ruolo del tutto essenziale per la sintesi delle proteine, e che stanno rivoluzionando la medicina sia dal punto di vista diagnostico (insiemi di frammenti di miRNA nel sangue, detti firme, per esempio, possono indicare la presenza di un tumore), sia da quello terapeutico (esistono già i primi farmaci che sono, di fatto, miRNA, e tantissimi sono in studio). Ebbene, molti ritengono che Lee, che ha sempre lavorato con il marito, e che ha firmato insieme a lui la maggior parte dei lavori scientifici più importanti, avrebbe dovuto essere premiata o, quantomeno, molto citata. E, invece, gli studi espressamente menzionati dal Comitato dei Nobel per giustificare il premio al marito sono tutti quelli privi del suo nome.

L’anno scorso era andata meglio a Katlin Karikò, cui era andato il premio sempre per gli studi sull’RNA che avevano condotto al vaccino per il Covid. Ma, come racconta lei stessa nella sua bella autobiografia, Karikò per decenni è stata ostracizzata, licenziata, ignorata, perfino ridicolizzata per le sue idee su questi minuscoli frammenti di materiale genetico. Poi la pandemia ha rimesso le cose a posto, perché è stata lei, passata nel frattempo dal mondo accademico all’azienda tedesca BionTech, a formulare il vaccino di maggior successo, prodotto con Pfizer. 

Del resto, i numeri parlano chiarissimo:

 

Disciplina 

Totale vincitori 

1901-2023

Uomini

Donne

Medicina e fisiologia

227

214

13

Chimica

194

186

8

Fisica

225

220

5

Economia

93

90

3

 

Come ha sottolineato la senatrice a vita italiana Elena Cattaneo, ricercatrice e docente dell’Università di Milano, in un’intervista al quotidiano la Repubblica: «La maggior parte delle donne nemmeno arriva a intravedere il "soffitto di cristallo", perché la disparità di genere interrompe la loro corsa molto prima».

MECCANISMI OBSOLETI - Per capire perché la situazione del premio si sia avvitata in questo modo, è però, è opportuno ricordare come avviene la selezione dei candidati ai premi Nobel e perché, ancora una volta, i rispettivi comitati non siano riusciti a trovare neppure un singolo nome di donna che valesse il premio. Di questo, infatti, si stanno occupando alcune delle riviste scientifiche più importanti, perché quello che è considerato il riconoscimento più prestigioso della ricerca scientifica internazionale sembra essere ancorato a logiche novecentesche, come nel caso di Lee (considerata "la moglie di"), o appare comunque destinato a non fare alcuno sforzo particolare per migliorare la situazione.

Ogni premio viene deciso da un comitato indipendente di esperti del settore, che lavora senza sapere che cosa fanno gli altri. Non ci sono limiti particolari in base alla rappresnetanza di genere. Per questo può accadere che tutti scelgano maschi, e non si rendano conto del risultato finale. Ma ciò dipende anche dalle regole con le quali arrivano le candidature, che fino a pochissimo tempo fa erano incentrate sulla considerazione e la stima che una certa persona riceveva nel suo ambito. Questo portava inesorabilmente a preferire uomini, perché ancora oggi ai vertici dei centri di ricerca ci sono molti più uomini che donne. Poi, qualche anno fa, sono state timidamente cambiate le norme, come ha spiegato a Science una testimone d’eccezione: Pernilla Wittung-Stafshede, membro del comitato che attribuisce il premio per la chimica, della Chalmers University of Technology di Goteborg, in Svezia. «Oggi non si parla più solo della reputazione dei candidati - ha rivelato. - Nelle istruzioni si invita chi vuole segnalare un ricercatore a ricordarsi che esistono le donne, e che la scienza non si fa solo negli Stati Uniti, o in Europa. Ciò spiega perché quest’anno le candidature arrivate siano state al 43% relative a donne, anche se, ovviamente, si deve fare molto di più. Più difficile è invece intervenire sulla gerarchia, perché gli studenti, i dottorandi e i collaboratori cambiano continuamente, e anche se hanno contribuito a un certo studio, è difficile attribuire a una singola persona un successo: è il capo del laboratorio che decide in che direzione devono andare gli esprimenti, e come vanno interpretati i risultati». E questo provoca un’ulteriore distorsione: i premi li vincono solo i capi, anche se non sempre se lo meritano. Per questo, secondo Wittung-Stafshede, il premio Nobel non rispecchia più la società della quale, invece, dovrebbe essere motore, testimonianza e stimolo.

In realtà la situazione potrebbe essere anche letta in modo speculare: il premio, cioè, riflette fedelmente quanto ancora oggi si verifica negli istituti di ricerca. Ne sono convinti in molti, come ricordano diversi esperti intervistati dal sito Stat, e come sa chiunque abbia frequentato un laboratorio di rcerca. Anche se il numero di laureate nelle materie scientifiche (le cosiddette STEM) è in aumento, più si sale nella gerarchia più i posti sono occupati da uomini, e per le donne è comunque sempre più difficile accedere a fondi, progetti, personale, strumentazioni. Come accaduto a Lee, poi, anche se compaiono come co-autrici nelle ricerche scientifiche, il loro ruolo è sistematicamente sottovalutato - come ha dimostrato uno studio su questo tema - con conseguenze anche sui brevetti e quindi con una grave penalizzazione economica.

Tra l’altro, proprio per le difficoltà esistenti, le donne che ce la fanno tendono a provenire da famiglie più benestanti, come è stato dimostrato in un libro bianco sul tema, perché solo chi ha alle spalle una famiglia che può aiutare riesce a reggere i troppi anni di precariato e di riconoscimenti mancati. La disparità di genere pone, quindi, anche una questione di giustizia sociale nell’accesso alla scienza.

La speranza di tutti è che la situazione cambi, e come ha detto a Nature il segretario del comitato per il Nobel per la medicina e la fisiologia Thomas Perlmann, i segnali ci sono, a cominciare dal fatto che, nei comitati che scelgono i premiati, sono invitati molto più di prima anche ricercatori giovani, rappresentanti di minoranze e di laboratori non necessariamente dei Paesi più ricchi e sviluppati. Il risultato è che quest’anno, bontà loro (di chi candida e di chi accetta le candidature), tra i nominati il 19% era costituito da donne, contro il 13% del 2021, e il 5% del 2015. 

Si tratta, comunque, di percentuali indifendibili e ingiustificabili. Donna Strickland, che ha vinto il Nobel per la fisica nel 2018, è stata la prima in 55 anni, e solo la terza nella storia del premio. 

Data ultimo aggiornamento 21 ottobre 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



Warning: Use of undefined constant lang - assumed 'lang' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Notice: Undefined index: lang in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

Chiudi

Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

VAI ALLA VERSIONE COMPLETA