ARCHEOCHIMICA
I dolia scoperti a Pompei svelano come era
il vino (assai) apprezzato dai Romani
Com’era il vino che, secondo le fonti storiche, i Romani bevevano in quantità anche superiori a quelle medie attuali, e cioè, circa un litro al giorno diluito con acqua? Per rispondere, un gruppo di archeologi dell’Università di Varsavia, in Polonia, ha condotto uno studio molto accurato sui dolia, recipienti sferici di argilla porosa totalmente interrati, nei quali gli abitanti di Pompei producevano e conservavano il vino.
Come illustrato su Antiquity, i dolia erano simili a recipienti molto più antichi, ritrovati nell’attuale Georgia, dell’Armenia e di tutta la zona, chiamati qvevri, risalenti a 6.000 anni fa (ma anche a epoche successive), ma non si sa se i Romani arrivarono a realizzare i dolia per imitare i qvevri. E’ stato però anche grazie agli qvevri che i ricercatori hanno compreso l’utilizzo dei dolia.
Innanzitutto il colore del vino: non c’erano tipologie specifiche, perché i Romani utilizzavano uve di diversi vitigni tutte insieme. A seconda dei casi, si andava quindi dal giallo tenue fino al nero, con tutte le possibili sfumature, in base al raccolto.
Poi, i lieviti scoperti nei dolia hanno permesso di decrittare anche il gusto, che era sicuramente caratterizzato da una certa asprezza e secchezza, vista la presenza di grandi quantità di tannini. Secondo quanto ricostruito analizzando i depositi nei numerosi dolia scoperti, probabilmente presentava note simili al pane tostato, alla frutta in guscio anch’essa tostata (nocciole, mandorle), alle mele e alla frutta secca, e perfino al curry.
Per quanto riguarda la conservazione, i dolia erano rivestiti internamente da pece (gli qvevri da cera d’api) che ne assicurava l’impermeabilizzazione, e chiusi, nella parte superiore, da appositi coperchi che, all’occorrenza, e dopo le prime fermentazioni, che liberavano molta CO2, potevano essere a tenuta stagna.
Infine, grazie anche alla forma sferica, ma con un fondo leggermente più stretto, i residui solidi restavano, i lieviti proliferavano sulle pareti rilasciando sostanze volatili e i maestri vinai riuscivano a ottenere miscele sempre diverse di loro gradimento, controllando temperatura e pH, e assortendo le uve dell’annata. Non stupisce che i Pompeiani apprezzassero molto.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 21 marzo 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco