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I derivati del piretro potrebbero favorire
autismo e iperreattività dei bambini

I piretroidi, composti di origine naturale usatissimi come insetticidi, e considerati sicuri, potrebbero non esserlo, almeno per quanto riguarda le donne incinte e i loro bambini. Nuovi dubbi arrivano infatti da uno studio condotto su modelli animali dai ricercatori di alcune università statunitensi, pubblicato su PNAS Nexus, nel quale emergono effetti ancora da chiarire sul sistema nervoso sui piccoli nati da madri entrate in contatto con basse concentrazioni di uno di essi, la deltametrina. Le madri sono infatti state esposte a dosaggi inferiori a quelli considerati sicuri, pari a 3 milligrammi per chilo di peso, immediatamente prima, durante e dopo la gravidanza, e i loro piccoli sono stati osservati per alcune settimane dopo la nascita. I segni di uno sviluppo anomalo nel sistema nervoso e, in particolare, le caratteristiche che di solito indicano l’autismo come i comportamenti ripetitivi, una ridotta vocalizzazione, l’iperattività e le difficoltà di apprendimento sono risultati inequivocabili.

Per il momento è prematuro parlare di rischio di autismo per gli esseri umani esposti, ma di sicuro, secondo gli autori, c’è un danno a carico del sistema nervoso del feto che provoca anomalie nello sviluppo.

Peraltro, diversi insetticidi e altre sostanze chimiche sono già state sospettate di aumentare il rischio di autismo, e per alcune di esse negli ultimi anni sono arrivati i divieti, dopo che le prove erano diventate incontrovertibili.

In questo caso, considerata la grandissima diffusione dei piretroidi, è molto importante proseguire negli studi, anche perché l’incidenza di disturbi dello spettro autistico è in aumento in tutto il mondo: negli Stati Uniti, per esempio, le diagnosi sono passate da un bambino ogni 150 del 2000 a uno ogni 44 del 2018. L’esplosione dei casi potrebbe essere dovuta in parte al miglioramento delle diagnosi, che oggi arrivano molto prima che in passato. Tuttavia si pensa che ci siano anche fattori ambientali, perché i passi in avanti nelle diagnosi, da sole, non bastano a spiegare numeri di questa entità, così come non bastano i geni, cui si attribuisce una grande responsabilità nell’insorgenza della malattia, ma la cui importanza relativa rimane stabile nel tempo.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 8 maggio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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