AUTOIMMUNITà
I deficit cognitivi tipici dell’encefalite autoimmune spariscono entro tre anni

Ci vogliono tre anni, in media, dal momento della diagnosi, ma la confusione mentale associata all’encefalite autommune può passare, e la situazione tornare alla normalità.
La cosiddetta encefalite anti-NMDAR, da N-methyl-D-aspartate receptor (anti-NMDAR), identificata per la prima volta nel 20045, è un’infiammazione del cervello dovuta a un attacco autoimmune verso un recettore specifico, quello dell’NMDA (un neurotrasmettitore), e si manifesta con mal di testa, affaticamento e febbre che progrediscono fino alla confusione, alla perdita di memoria, ai problemi di movimento, a cambiamenti comportamentali e di personalità, a disturbi del pensiero o della parola, allucinazioni, convulsioni e persino perdita di coscienza. Per questo viene spesso scambiata per schizofrenia o grave disturbo bipolare.
Una volta diagnosticata, nell’80% dei casi può essere curata con un approccio immunologico, ma molto spesso lascia dietro di sé conseguenze sulle facoltà cognitive superiori. Ora però uno studio su 92 persone (età media: 29 anni) che hanno avuto la diagnosi prima del 2023 mostra che recuperare è possibile, anche se ci vuole pazienza. Come riportato su Neurology dai ricercatori di diverse università olandesi sostenuti dalla Dioraphte Foundation infatti, 85 dei 92 pazienti sono stati sottoposti a frequenti test cognitivi, per esempio su memoria e concentrazione, e 87 hanno appuntato minuziosamente i propri sintomi. L’analisi dei risultati ha mostrato che quasi tutti hanno avuto un costante miglioramento, soprattutto nei primi sei mesi e poi, più lentamente, fino a tre anni dopo l’inizio delle cure. Dopo tre anni, un terzo circa aveva ancora qualche deficit e il 65% mostrava qualche punteggio inferiore alla media in alcuni dei test, soprattutto per la memoria e il linguaggio. Inoltre, molti segnalavano problemi con il benessere emotivo, il funzionamento sociale, i livelli di energia e la qualità della vita. Ancora, il 30% non era tornato a scuola o al lavoro e il 18% aveva avuto bisogno di modifiche, per riprendere queste attività, ma chi lo aveva fatto ne aveva tratto grandi benefici, accelerando il recupero.
Secondo gli autori “Identificare sottili sintomi cognitivi, sociali o emotivi, è fondamentale, soprattutto perché questa malattia colpisce principalmente i giovani adulti. L’impatto sulla scuola, sul lavoro e sulla vita sociale può essere immenso”. Per questo il recupero, che può essere lento, ma che è quasi sempre possibile, va perseguito, e accelera se si riprendono le normali attività.
A.B.
Data ultimo aggiornamento 16 dicembre 2024
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