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I caregiver oncologici, se abbandonati a loro stessi, sviluppano lo stress post traumatico

Chi assiste una persona malata di cancro, il cosiddetto caregiver, può andare incontro a conseguenze psicologiche gravi, fino a mostrare tutti i sintomi di quella che viene chiamata sindrome da stress post traumatico o PTDS. E il problema è che questo aspetto, che ha ripercussioni sia sul malato sia, dopo la fase acuta o il decesso, sul caregiver, non viene preso in considerazione spesso, né affrontato nel modo corretto.

Lo dimostra uno studio pubblicato sugli Archives of Gerontology and Geriatrics Plus dai ricercatori dell’università di Toronto, in Canada, che hanno voluto verificare che cosa fosse stato pubblicato negli ultimi anni su questo specifico tema. Analizzando la letteratura, da un insieme iniziale di diverse centinaia di lavori, alla fine ne hanno selezionati 23, che hanno coinvolto un numero variabile di persone, da poche decine a qualche centinaio.

Il risultato ha mostrato un quadro omogeneo, pur con molte sfumature: il 15% dei caregiver mostra tutti i segni dello stress post traumatico. I soggetti più a rischio sono coloro che avevano già prima qualche disturbo psicologico, che ha risorse socioeconomiche minori, chi si confronta con sintomi particolarmente gravi e dolore oncologico, e chi assiste persone con una leucemia o con un tumore del distretto testa collo (in questi casi l’incidenza di PTSD arriva al 37%).

Essere a fianco di una persona cara che soffre molto mette a dura prova, e può lasciare cicatrici indelebili. Tra i caregiver si ritrovano spesso i pensieri intrisivi e l’ipervigilanza, due marcatori dello stress post traumatico. Manca invece un altro segno tipico, ossia l’evitamento (la tendenza a rifuggere dalla realtà), perché i caregiver non se lo possono permettere, e di solito rimangono sempre profondamente coinvolti, fino a quando il loro caro è in vita. Ma poi, se non vengono aiutati a elaborare nel modo corretto quanto vissuto, pagano a caro prezzo il coinvolgimento durato magari mesi o anni.

Tutto ciò significa innanzitutto che è necessario approfondire questo aspetto, con molti più studi che analizzino le diverse fasi della malattia, comprese le eventuali recidive e i trattameti, e del dopo. Inoltre bisognerebbe che l’équipe medica controllasse periodicamente le condizioni dei caregiver, e fornisse loro tutto il supporto necessario: cosa che oggi, purtroppo, non avviene quasi mai.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 26 marzo 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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