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I batteri dei denti e della saliva "marker" dell’artrite reumatoide

L’esame della flora batterica residente in diversi tessuti potrebbe rivelarsi di grande aiuto nella diagnosi e nel trattamento dell’artrite reumatoide. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine dai ricercatori dello Union Medical College Hospital di Pechino (Cina) dimostra, infatti, che nelle persone colpite da questa malattia sono presenti alterazioni significative nella microflora dentale, salivare e fecale; in particolare, risultano molto bassi i livelli di alcuni batteri del genere Haemophilus, e alti quelli di Lactobacillus salivarius, così come risulta compromesso il metabolismo di molti ioni importanti tra i quali il ferro, lo zolfo, lo zinco, e dell’aminoacido arginina (processi per i quali è fondamentale l’equilibrio della microflora).

Una conferma indiretta del ruolo della microflora nell’artrite reumatoide giunge poi da un’altra serie di esperimenti condotti dagli stessi ricercatori di Pechino, che dimostrano come, in seguito al trattamento con i farmaci utilizzati in clinica e chiamati DMARD (da Disease Modifying Antirheumatic Drugs), la situazione dei batteri torni più vicina alla normalità.

Gli autori hanno anche ipotizzato una potenziale applicazione clinica a scopo diagnostico di questi studi, definendo tre standard di normalità (e patologia) per i tre diversi distretti (ghiandole salivari e saliva, denti e cavo orale, intestino), e hanno verificato la possibilità di elaborare una diagnosi in base alle sole anomalie della flora batterica. Il risultato è stato un’attendibilità del 100%: a certe alterazioni delle popolazioni batteriche corrisponde la malattia, sempre.

Ora gli studi proseguono per convalidare le possibili applicazioni diagnostiche, e per  capire come sfruttare queste conoscenze a fini terapeutici.’

A.C.
Data ultimo aggiornamento 9 settembre 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Certi tipi di infezioni possono proteggere dall’artrite reumatoide


Tags: artrite reumatoide



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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