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Houston abbiamo un problema: i batteri, sull’ISS, sono troppo pochi e troppo simili

Se la salute degli astronauti non è ottimale, la colpa potrebbe essere anche dell’eccesso di sterilità negli ambienti della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), condizione che sarebbe all’origine di un microbiota ambientale estremamente povero. E questo, a sua volta, avrebbe ripercussioni su molte funzioni vitali.

Ad accendere un faro sull’ecosistema microbico dell’ISSA e sui possibili legami con il fatto che gli astronauti risentono pesantemente della permanenza in orbita è uno studio appena pubblicato su Cell, nel quale i ricercatori dell’Università della California di San Diego hanno analizzato più di 800 campioni provenienti da superfici varie dell’ISS, un numero che è circa cento volte quello dei rilevamenti precedenti. La mappa di quanto identificato ha svelato che le specie presenti arrivano prevalentemente dalla cute degli astronauti. Inoltre, i differenti ambienti hanno composizioni specifiche, abbastanza diverse le une dalle altre, e strettamente connesse con l’utilizzo (per esempio, gli spazi dedicato ai pasti hanno un microbiota molto diverso da quelli dei bagni), a riprova di uno scarso scambio di microrganismi.

Uno degli aspetti emersi, poi, è l’eccesso di disinfettanti, utilizzati in abbondanza nell’ISS ma, probabilmente, in quantità e frequenze troppo elevate: è anche per questo che il microbiota ambientale è troppo povero, e ricorda quello che si trova in ambienti particolari come gli ospedali o certi luoghi industriali.

Il sistema immunitario, però, risente molto di una mancanza di stimoli adeguati. Per questo, mentre continua la caratterizzazione delle specie, è iniziata una riflessione anche sulle procedure precedenti il volo e, nello specifico, sull’isolamento degli astronauti, che portano con sé solo poche specie, essendo sottoposti a misure specifiche. Probabilmente sarebbe meglio che il loro corpo ospitasse un microbiota più vario.

Tutto ciò è molto importante se si devono progettare lunghe permanenze, e non solo sull’ISS. Non si può semplicemente prendere un essere umano e mandarlo nello spazio. Teoricamente, bisogna farlo accompagnare da un intero ecosistema, che riproduca il più possibile quello per il quale ci siamo evoluti lungo miliardi di anni.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 31 marzo 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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