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Gli sport di contatto andrebbero modificati: i traumi possono portare alla demenza - L'Assedio Bianco

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Gli sport di contatto andrebbero modificati:
i traumi possono portare alla demenza

Un nuovo, importante studio, pubblicato su Acta Neuropathologica conferma un fatto che è noto da anni, ma che finora non è stato preso nella giusta considerazione: gli sport di contatto, e soprattutto quelli che prevedono colpi alla testa come il rugby, il football, la boxe, il calcio e così via, sono la causa diretta, in chi li pratica, di una sindrome che predispone alla demenza, chiamata encefalopatia traumatica cronica o CTE. Le concussioni, i movimenti esagerati e i traumi continui arrecano infatti gravi danni al cervello e, per tali motivi, secondo gli autori, sport che li prevedano non solo andrebbero rigorosamente vietati ai bambini, ma andrebbero modificati radicalmente, in modo che non ammettano più colpi al cranio e anzi, facciano di tutto per evitarli. Le protezioni che sono state inserite in alcune di queste discipline negli ultimi anni non sono sufficienti.

 

Nello specifico, i ricercatori dell’Università di Glasgow, in Scozia, hanno analizzato 31 cervelli donati alla ricerca scientifica da altrettanti giocatori di rugby, professionisti e non, e hanno dimostrato che 21 avevano i segni della CTE, nonostante i due terzi (23) fossero appartenuti a giocatori amatoriali, e non professionisti. Quanto a questi ultimi, che avevano giocato in media per 18 anni, il 68% dei loro cervelli era colpito da CTE, così come lo erano 13 dei giocatori amatoriali. Attualmente in Gran Bretagna quasi 400 ex professionisti di diversi sport stanno mandando avanti una class action per non essere stati avvisati dei rischi, mentre i casi di Alzheimer e di altre patologie neurodegenerative a esordio precoce continuano ad aumentare. Solo per quanto riguarda il rugby, i praticanti a livello mondiale sarebbero più di 8,5 milioni, fino dall’infanzia.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 6 novembre 2023
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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