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Gli atleti olimpici danno il massimo a 27 anni. Dopo quell’età la carriera declina

A che età un atleta olimpico dà le prestazioni migliori? Esistono, per tutti gli sport, statistiche che spiegano quando uno sportivo professionista raggiunge il massimo delle sue possibilità. Si tratta sempre di curve a campana, con un crescendo, un picco e poi una fase discendente, e non sempre le età del picco sono gli stessi, tra uno sport e l’altro. Per chi partecipa alle Olimpiadi, tuttavia, la situazione è diversa, perché le gare sono solo ogni quattro anni. E, di conseguenza, anche i risultati sono influenzati dalla cadenza quadriennale. Ora però uno studio pubblicato su Significance stabilisce un’età specifica, in base a diversi fattori, per raggiungere il massimo delle proprie possibilità: 27 anni. Gli autori, ricercatori dell’Universotà di Waterloo, in Olanda, hanno analizzato tutte le prestazioni singole e in squadra degli atleti che hanno gareggiato a tutte le Olimpiadi a partire da quella di Atlanta dle 1996 relative a corsa, salto e lanci. Inoltre hanno incluso dati che riguardavano la nazionalità (e quindi i geni, in parte, e poi le abitudini, la dieta, i dati medi antropometrici e così via) e hanno così trovato l’età più performante.

Dopo i 27 anni, le probabilità di dare il massimo scendono al 44%. I prossimi giorni diranno se la stima dei ricercatori olandesi era corretta, almeno per quanto riguarda la quantità di atleti ventisettenni che arrivano a medaglia.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 26 luglio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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