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Gianvito Martino: cellule staminali del cervello: funzionano?

Funzionano le terapie sperimentali con le cellule staminali del cervello? Gianvito Martino, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale San Raffaele di Milano e ricercatore di riferimento a livello internazionale, spiega quali risultati sono stati raggiunti finora, ma anche l’estrema cautela con cui devono muoversi gli studiosi, per evitare danni, visto che le staminali sono particolarmente reattive e possono sfuggire al controllo, se non vengono gestite nel modo corretto.

La sperimentazione sulle cellule staminali, del cervello in particolare, è ovviamente ancora nella sua infanzia: non dimentichiamo che le cellule staminali nel cervello adulto sono state scoperte negli anni 2000. Si parla quindi di scoperte molto recenti, però stiamo già iniziando a trapiantarle nei malati: in alcune situazioni questo è già successo, in particolare malattie del bambino, dove l’aspettativa di vita è molto bassa e che sono specialmente drammatiche. Da queste sperimentazioni ci aspettiamo di capire se è possibile trapiantarle, se queste cellule sono sicure – perché se poi manipolandole in maniera azzardata creiamo più danni che benefici, a che pro utilizzarle? Il problema è che queste cellule sono molto più potenti e molto più terapeutiche di quanto ci fossimo immaginati fino a qualche anno fa: nel momento in cui le abbiamo studiate abbiamo capito che non solo potevano fare quello che noi pensavamo potessero fare, ma potevano fare tante altre cose, sempre in senso curativo (alla fine non è sorprendente, perché queste sono cellule che costruiscono un cervello funzionante e intero, quindi devono essere particolarmente intelligenti). Di conseguenza, nel momento in cui le si trapianta, certamente riescono a fare una serie di cose, ma a questo punto siamo un po’ cauti, perché proprio in virtù del fatto che possono fare tante cose, queste tante cose, se le fanno nel momento sbagliato, possono essere più dannose che di beneficio per il soggetto. In particolare, queste cellule, avendo un’elevata capacità “proliferativa”, certamente possono esser la base di tumori, soprattutto nel momento in cui le si manipola in maniera inappropriata. Ad oggi, delle cellule staminali del cervello trapiantate nell’uomo non conosciamo nulla. Possiamo dire che in alcuni casi sembrano sicure, ma certamente non possiamo ancora parlare di efficacia.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 18 maggio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: Gianvito Martino



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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