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Farmaci e malattie autoimmuni, così il cuore può correre rischi

di Agnese Codignola

Un team di ricercatori dell’Università di Siena, insieme a un gruppo internazionale di immunologi e cardiologi coordinato dagli esperti della Scuola di Medicina dell’Università di New York, ha pubblicato sulla rivista Circulation uno studio che spiega un noto e grave fenomeno fino ad oggi mai chiarito: l’aumento dei rischi corsi dal cuore delle persone affette da alcune malattie autoimmuni che assumono farmaci antistaminici o alcuni antidepressivi.

Da anni è infatti risaputo che patologie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico, la sindrome di Sjogren e altre malattie dei tessuti connettivi sono associate a una maggiore incidenza di gravi fibrillazioni cardiache, tachicardie, svenimenti e, più in generale, alla cosiddetta sindrome del QT lungo. Quest’ultima è una condizione che prende il nome da una specifica anomalia rilevabile all’elettrocardiogramma; a volte alla sua base ci sono difetti genetici, altre volte ad entrare in gioco sono fattori esterni come l’assunzione di alcuni farmaci, ma l’effetto è sempre lo stesso: il rischio di battito cardiaco irregolare aumenta e chi ne soffre può avere a che fare con palpitazioni, svenimenti o fibrillazioni anche fatali.

Gli autori di questo studio hanno identificato la causa alla base di questo fenomeno, scoprendo che ad entrare in gioco sono i cosiddetti anticorpi anti-SSA/Ro presenti nei pazienti adulti affetti da malattie dei tessuti connettivi. Questi anticorpi, spiegano i ricercatori, bloccano l’azione di una molecola presente sulla superficie delle cellule cardiache, hERG. Questa molecola è un canale ionico, una proteina che forma una sorta di cancello dall’apertura regolabile attraverso cui è possibile il passaggio di ioni da un lato all’altro della membrana cellulare. Bloccando hERG gli anticorpi anti-SSA/Ro impediscono l’uscita dalla cellula del potassio; l’accumulo di questo ione all’interno delle cellule cardiache aumenta l’attività elettrica del cuore, innescando di conseguenza le fibrillazioni. 

Secondo i ricercatori questi risultati suggeriscono l’importanza di monitorare la salute cardiaca dei pazienti in cui sono presenti gli anticorpi anti-SSA/Ro e di tenere conto dei rischi associati all’assunzione di farmaci come gli antistaminici e alcuni depressivi, noti per la loro capacità di aumentare il rischio di sindrome del QT lungo.

Data ultimo aggiornamento 7 luglio 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: anticorpi, antistaminici, malattie autoimmuni



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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