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Ecco perché nello spazio
l’organismo si difende peggio

di Agnese Codignola

Un giovane ricercatore della Cornell University potrebbe aver risolto un mistero che dura da decenni: perché il sistema immunitario di una persona che si trovi in condizioni di microgravità, per esempio in una missione spaziale, sia indebolito e non funzioni a dovere, aumentando in misura significativa il rischio di contrarre infezioni o di sviluppare malattie. Grazie al suo approccio interdisciplinare e al suo sguardo diverso rispetto a quelli classici, infatti, il ventitreenne Rocky An, che in parte ha condotto ricerche in modo indipendente, è arrivato a una spiegazione plausibile di ciò che succede, e il suo studio potrebbe aprire scenari del tutto nuovi nell’astrobiologia ma, anche, nell’immunologia classica.

L’intuizione vincente di An, riportata in un lungo e dettagliato articolo pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Cell and Developmental Biology, è stata quella di cominciare dall’analisi di due tipologie di studi diversi: la prima, più scontata, è quella delle ricerche fin qui pubblicate sul comportamento del sistema immunitario in condizioni di microgravità. Ma la seconda, più innovativa, è stata quella delle ricerche che osservano e descrivono i fenomeni biologici a partire dalla biomeccanica, cioè dai cambiamenti fisici che si determinano in ogni cellula in seguito a stimoli appunto meccanici, ma anche chimici. Il motivo è chiaro: nello spazio, infatti, l’assenza di gravità altera tutti gli equilibri preesistenti all’interno delle cellule. Per questo, alcune strutture fondamentali come i microtubuli, che costituiscono lo scheletro molecolare di tutte le cellule degli eucarioti (cioè di animali, lpiante, funghi, protozoi), cambiano, e questo dà origine a una serie di conseguenze interessanti per capire il risultato finale, ossia un malfunzionamento delle risposte immunitarie.

In particolare, An ha verificato che cosa era stato scoperto finora su una classe di cellule del sistema immunitario particolarmente sensibili agli stimoli meccanici, i macrofagi, incrociando i risultati degli studi biologici condotti in microgravità con quelli ottenuti dalla biomeccanica, e ha individuato un elemento cruciale: un fattore di trascrizione chiamato Myocardin-Related Transcription Factor (MRTF), molto importante per la regolazione dell’espressione dei geni di alcune delle proteine del sistema immunitario, il cui trasporto è fortemente rallentato quando la gravità è ridotta o assente. In carenza o in assenza di MRTF, i macrofagi sarebbero meno numerosi e meno efficienti, e questo potrebbe spiegare perché le difese si indeboliscano. E indicare un punto specifico sul quale intervenire, per esempio con farmaci che riescano a tenere alto il livello di MRTF. An, che ha ricevuto una borsa di studio per studiare l’immunoterapia meccanica, cioè per approfondire proprio le possibili manipolazioni del sistema immunitario attraverso stimoli meccanici, continuerà a lavorare in questo campo, dove si era già distinto per aver messo a punto uno strumento molto adatto agli studi sulla microgravità. Nei prossimi mesi si capirà dunque se la sua intuizione era corretta, e se MRTF è davvero così importante. 

Inoltre, una delle conseguenze davvero rilevanti del suo lavoro è aver mostrato quanto sia proficuo non limitarsi a un unico tipo di approccio e, al tempo stesso, aver dato ulteriore lustro a una disciplina relativamente nuova, che potrebbe portare a molte sorprese e aiutare a svelare misteri come quello studiato da An: la biomeccanica. Grazie ai microscopi di ultima generazione e alle stampe in 3D, che permettono di simulare le strutture biologiche e di costruire strumenti adatti allo studio del comportamento delle cellule, è infatti sempre più evidente che le cellule vanno osservate anche da questo punto di vista, se si vuole averne una visione completa.

Data ultimo aggiornamento 28 settembre 2022
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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