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Anestetici anti-metastasi: questo il "meccanismo"

La mammella vista attraverso una mammografia

Per la prima volta al mondo è stato descritto il meccanismo che consente a un anestetico locale (la lidocaina) di inibire la diffusione nel corpo delle cellule cancerogene del tumore al seno, producendo così una sorta di effetto protettivo. L’anestetico impiegato durante l’operazione limita, in particolare, la possibilità che le cellule cancerogene migrino, e ciò potrebbe tradursi in una riduzione del rischio di successive metastasi nei tessuti della paziente operata di tumore. Tra gli autori di questo studio, che apre prospettive inedite per la lotta contro il tumore al seno, figurano il viceprimario di anestesia dell’Ospedale Regionale di Bellinzona e Valli (ORBV) Andrea Saporito e la professoressa Mariagrazia Uguccioni, del Laboratorio di Chemochine e Immunità dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB), affiliato all’Università della Svizzera italiana. La scoperta è stata pubblicata sul British Journal of Anaesthesia, la rivista internazionale più prestigiosa del settore.
In passato, alcuni studi epidemiologici avevano dimostrato nei pazienti operati di tumore l’esistenza di un legame tra il fatto di avere ricevuto un’anestesia loco-regionale (un’anestesia locale) e una riduzione dell’incidenza di successive recidive tumorali. Per spiegare questa correlazione erano state formulate diverse ipotesi, come la riduzione dello stress operatorio (rispetto all’anestesia generale), o l’effetto inibitorio diretto di certi anestetici; il meccanismo reale di questo effetto protettivo constatato non era però fin qui stato spiegato.
La collaborazione tra il Servizio di Anestesia dell’ORBV e il laboratorio di Chemochine e Immunità dell’IRB ha invece permesso di rivelare per la prima volta il meccanismo con cui la lidocaina inibisce la capacità delle cellule cancerogene del tumore al seno di raggiungere altri tessuti e dunque di generare metastasi a distanza. Ulteriori ricerche sull’attività che la lidocaina induce nelle cellule del sistema immunitario potranno in futuro contribuire a migliorare ancora i risultati della lotta contro i tumori.

Il meccanismo d’azione della lidocaina
«Ora sappiamo che la lidocaina blocca la trasduzione (il passaggio, ndr) del segnale che induce migrazione via CXCR4, lo specifico recettore della chemochina CXCL12, entrambi associati ad aggressività e metastasi del tumore al seno», ci spiega la professoressa Uguccioni, precisando però che per il momento i meccanismi esatti di questo effetto non sono ancora noti. «Potrebbe bloccare il riconoscimento della chemochina CXCL12 da parte del suo recettore – prosegue l’esperta, – potrebbe inserirsi tra i domini trasmembrana del recettore  bloccando la trasmissione del segnale, o in alternativa potrebbe legarsi direttamente alle proteine G, mediatori delle risposte cellulari che portano alla migrazione. Ma non lo sappiamo ancora».
Aggiunge Andrea Saporito: «La lidocaina non è di per sé un farmaco chemioterapico, ma ci sono sempre più evidenze che concordano nel mostrare un suo effetto nell’inibire l’attività delle cellule tumorali. Più che per una vera e propria terapia antitumorale, se confermate in vivo queste evidenze potrebbero aprire piuttosto nuovi scenari nella gestione perioperatoria delle pazienti operate di un tumore mammario. Il razionale potrebbe essere quello che un farmaco in grado di inibire la motricità delle cellule tumorali, somministrato a dosaggi efficaci nel periodo perioperatorio, possa ridurre il rischio che tali cellule, inevitabilmente rilasciate nel circolo sanguigno dal tumore primario quando questo viene manipolato durante la chirurgia, possano aderire all’endotelio vascolare e successivamente migrare nei tessuti, generando così metastasi a distanza di tempo».
Attualmente la lidocaina è l’unico anestetico locale a essere somministrato anche per via endovenosa. «Si potrebbe dunque ipotizzarne un uso endovenoso nel periodo perioperatorio anche allo scopo di ridurre l’attività delle cellule tumorali circolanti – spiega il dottor Saporito – Naturalmente sarebbe imperativo controllarne accuratamente il dosaggio, per evitare le conseguenze di una tossicità sistemica, che, come per tutti gli anestetici locali, può portare anche a gravi effetti collaterali». Al momento, però, si tratta solo di ipotesi che andranno testate in opportuni studi clinici che confermino gli effetti osservati in laboratorio. 

I prossimi passi della ricerca
«Le strade che ora potremmo prendere sono diverse – aggiunge la professoressa Uguccioni. – Una è prettamente quella della ricerca di base, che potrebbe permetterci di capire come fa la lidocaina a bloccare l’attività di CXCL12. Queste ricerche di base dovranno essere affrontate anche in collaborazione con gruppi di ricerca presenti all’Istituto di Ricerca in Biomedicina che studiano come le proteine interagiscano tra loro».
Un’altra possibile strada da percorrere porta invece in direzione della clinica. «Si tratta di studi che prevedono di vedere se le cellule tumorali dei pazienti operati rispondono alla lidocaina come abbiamo visto nelle linee cellulari di tumore al seno – spiega la professoressa Uguccioni. – Quindi una parte del tumore che viene tolto alla paziente in fase operatoria potrebbe essere utilizzata per la ricerca; queste cellule, utilizzate subito fresche, potrebbero dirci se rispondere alla lidocaina in questo modo è una caratteristica generale di tutte le cellule di tumore al seno o solo di alcuni sottotipi. Al momento stiamo valutando varie linee di ricerca per proseguire il lavoro. Potremmo forse in futuro identificare quali pazienti hanno cellule tumorali in grado di rispondere alla lidocaina nel modo che noi auspichiamo, cioè perdendo la loro capacità di rispondere a stimoli migratori. Se tutto ciò venisse confermato, bisognerebbe pensare a un trial clinico da condurre all’Ente Ospedaliero Cantonale in collaborazione con altre strutture cliniche».

Data ultimo aggiornamento 16 ottobre 2018
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: Istituto di Ricerca in Biomedicina, Ticino, tumore al seno, Università della Svizzera Italiana



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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