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Durante la perimenopausa aumenta molto
la probabilità di sviluppare una depressione

Le donne che attraversano la perimenopausa, cioè il periodo di transizione tra l’età fertile e la menopausa, che dura in genere alcuni anni, sono decisamente più soggette alla depressione rispetto a quelle che sono sia ancora in età fertile, che già in una menopausa stabilizzata. E di questo si deve tenere conto, non sottovalutando i possibili sintomi e aiutando le donne ad avvalersi di tutte le terapie che possono aiutarle, da quelle cognitivo-comportamentali a quelle basate sulla mindfulness fino a pratiche come lo yoga. 

La maggiore vulnerabilità delle donne in questo periodo delicato è stata confermata da una metanalisi pubblicata sul Journal of Affective Disorders, che ha preso in esame sette studi effettuati in paesi molto diversi, dalla Cina alla Svizzera, dall’Olanda all’Australia, che hanno coinvolto più di 9.100 donne. Il risultato è stato molto chiaro: in un periodo complessivo di otto anni, che va da tre-cinque anni prima a un anno dopo l’arrivo della menopausa, le donne hanno un rischio di ricevere una diagnosi di depressione superiore del 40% rispetto a prima, e a dopo.

Anche i motivi biologici sono abbastanza chiari. Nella perimenopausa, infatti, i livelli ormonali oscillano molto più di prima, provocando sbalzi di umore, cicli irregolari e spesso molto abbondanti, vampate, cambiamenti fisici e un generale abbassamento del tono dell’umore. Tutto ciò, oltre all’accettazione psicologica della fine dell’età fertile, può favorire la depressione.

E’ quindi importate – concludono gli autori, ginecologi dello University College di Londra – che le donne siano informate adeguatamente, e che i medici curanti stiano loro particolarmente vicini in quel periodo, suggerendo la soluzione più adatta al singolo caso.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 30 maggio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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