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La terapia cognitivo-comportamentale
può aiutare a combattere la fatigue cronica

La sindrome da affaticamento cronico, nota anche come Chronic Fatigue Syndrome o Encefalite mialgica (l’acronimo che riunisce le due denominazioni è ME/CSF) può essere affrontata anche con una terapia cognitivo-comportamentale o CBT che, almeno in metà dei casi, può arrecare sollievo e favorire il recupero. Lo dimostra una metanalisi dei dati contenuti in otto studi che hanno coinvolto un totale di circa 1.300 pazienti in protocolli che prevedevano sedute di questo genere di trattamento.

Si è spesso ritenuto che la CBT fosse inutile o anche dannosa, perché molti di malati di ME/CSF soffrono anche di un’altra sindrome, chiamata da malessere post esercizio (post-exertional malaise), cioè hanno un aggravamento dei sintomi se provano a contrastarli con una rieducazione fisica, che preveda esercizi. Si pensava, senza grandi prove a sostegno, che questo fosse vero anche per la CBT. Tuttavia, i dati emersi da questi studi, rielaborati e pubblicati su Psychological Medicine dai ricercatori dell’Università di Amsterdam, in Olanda, e del King’s College di Londra, in Gran Bretagna, mostrano che non è affatto così o, per lo meno, non per tutti.

Circa metà di coloro che hanno seguito una terapia cognitivo-comportamentale, a prescindere dai sintomi presenti prima dell’inizio del trattamento, hanno infatti avuto un beneficio, soprattutto quando erano giovani, quando i sintomi non erano troppo invalidanti e quando, nonostante i disturbi, avevano mantenuto una vita relativamente attiva. Costoro hanno ritrovato parte delle energie fisiche e psichiche compromesse, e hanno iniziato a guarire.

Contro la ME/CSF non esistono terapie specificamente approvate. Per tale motivo, chi ne è colpito può sperimentare questo tipo di aiuto. Non ci sono rischi, né effetti collaterali noti.


Data ultimo aggiornamento 6 dicembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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