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Le lavatrici domestiche non eliminano
i batteri dai camici del personale medico

I medici e in generale il personale che lavora negli ospedali non dovrebbe lavare i camici e gli altri abiti da lavoro a casa. Le lavatrici domestiche, infatti, spesso non riescono a eliminare i batteri, soprattutto se questi hanno formato colonie protette da un biofilm. I germi, inoltre, possono sviluppare resistenza ai detersivi di casa e in questo modo trasmettere geni della stessa resistenza una volta riportati in ospedale. Infine, se hanno acquisito altri geni per la resistenza agli antibiotici, possono continuare a diffonderli, una volta riutilizzati in spedale, dal momento che è provato che la trasmissione di questi geni può avvenire anche attraverso il contatto con le fibre tessili. Lo dimostra uno studio pubblicato dai ricercatori dell’Università di Leicester, in Gran Bretagna, su PLoS Microbiology, nel quale sono state sottoposte alla prova della resistenza batterica sei lavatrici domestiche dei marchi più diffusi, con programmi normali, a 50-60°C, o con cicli brevi, a 40°C.

Solo la metà delle lavatrici si è dimostrata capace di eliminare quote sufficienti della carica batterica presente e solo dopo cicli completi a 60°C, mentre i cicli brevi sono stati del tutto inefficaci. L’altra metà non lo ha fatto, lasciando sui camici anche batteri pericolosi e molto bravi a sviluppare resistenze di vario tipo come lo Staphylococcus aureus, la Klebsiella pneumoniae, e lo Pseudomonas aeruginosa. Le analisi successive hanno poi mostrato la presenza delle sequenze associate alla resistenza a diversi antibiotici.

Secondo gli autori, le linee guida per la pulizia degli abiti da lavoro ospedalieri dovrebbero tenere conto di questi risultati ed essere riviste in modo che il rischio di resistenze sia limitato. Meglio sarebbe, comunque, lavare sempre i camici in lavanderie industriali.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 6 maggio 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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