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La musicoterapia può migliorare molto il tono dell’umore delle persone con demenza

La musicoterapia, variamente declinata, può davvero essere di aiuto per le persone che soffrono di demenza. Lo dimostra una revisione effettuata dagli esperti della Cochrane Collaboration, il circuito internazionale di ricercatori che vaglia gli studi pubblicati secondo criteri molto severi, e trae poi conclusioni da trasformare in informazioni chiare per pazienti e medici.

In questo caso, sono stati presi in esame trenta ricerche che hanno coinvolto un totale di oltre 1.700 persone, per lo più residenti in case di cura. La musicoterapia è stata applicata in modo sia attivo, cioè con il coinvolgimento diretto dei pazienti, per esempio per suonare uno strumento o cantare, che in modo passivo, cioè con l’ascolto di musiche scelte dai terapisti, in protocolli dalla durata variabile. I parametri misurati sono stati quelli relativi al tono dell’umore, all’ansia, alla depressione, all’agitazione, alla capacità di relazionarsi al prossimo e allo svolgimento di compiti cognitivi e mnemonici.

Il risultato è stato positivo, perché la musica, comunque proposta, ha migliorato sia gli aspetti relativi all’umore che quelli della socialità, anche se non sembra aver influito su quelli più gravi come l’agitazione, l’aggressività o il delirio, né sulla capacità di svolgere compiti cognitivi complessi.

La musica non ha alcun tipo di effetto collaterale, e può quindi essere proposta in tutta sicurezza: apporta benefici, e lo fa a costi bassissimi e con vantaggi per tutti coloro che partecipano, non solo per i pazienti.


Data ultimo aggiornamento 1 aprile 2025
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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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