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Di cosa è morto Roosevelt? Nuova ipotesi di tre ricercatori

di Maria Santoro

Di cosa è morto davvero Franklin Delano Roosevelt? Quanto ha contribuito la poliomielite all’emorragia cerebrale che ha concluso la sua esistenza? Il 32° presidente degli USA (in carica dal 1933 al 1945, per 4 mandati consecutivi) seppe governare il Paese in due circostanze storiche particolarmente difficili, la crisi economica del 1929 e la Seconda Guerra Mondiale. Le sue riforme (new Deal) e le capacità strategiche furono determinanti per l’affermazione degli Stati Uniti tra le superpotenze dell’Occidente. Roosevelt morì a 63 anni e sulla causa della morte hanno recentemente indagato tre scienziati italiani, il paleopatologo Francesco Maria Galassi, l’antropologa forense Elena Varotto e l’immunologo Andrea Cossarizza. Sulla rivista High Blood Pressure & Cardiovascular Prevention di Springer Nature è stato recentemente pubblicato il lavoro scientifico che riassume la ricerca. 

Al centro della riflessione medico-scientifica, la possibilità che il decesso del presidente sia fortemente legato all’infezione poliomielitica contratta a 39 anni. La polio gli paralizzò gli arti inferiori e lo costrinse a utilizzare la sedia a rotelle per muoversi.  Fu proprio la poliomielite a suggerire al presidente l’avvio di iniziative benefiche come l’acquisto del terreno comprendente le sorgenti termali di Warm Springs in Georgia, dove creò un Istituto per la riabilitazione, tuttora attivo e concepito allo scopo di fornire servizi riabilitativi alle persone affette da poliomielite. Roosevelt diede vita inoltre alla National Foundation for Infantile Paralysis nel 1938, catalizzando attraverso cospicui finanziamenti la successiva scoperta di vaccini contro la polio di Jonas Salk.

«Nonostante le recenti proposte della sindrome di Guillain-Barré (GBS) come interpretazione alternativa alla sua disabilità (nel 2003 uno studio condotto da alcuni medici e ricercatori statunitensi era giunto alla conclusione che Roosevelt soffrisse probabilmente di questa malattia autoimmune del sistema nervoso periferico) – affermano Galassi e Varotto - la tradizionale diagnosi di poliomielite appare più ragionevole, come suggerito dal quadro clinico ricostruito dalle fonti dell’epoca». 

La morte di Roosevelt il 12 aprile 1945 è ufficialmente attribuita a una grave emorragia cerebrale avvenuta nel contesto di un’ipertensione sviluppata dal 1937, puntualmente segnalata dal suo cardiologo Howard G. Bruenn nel marzo 1944, condizione che gli avrebbe causato uno scompenso cardiaco. «Nonostante gli evidenti e apparentemente schiaccianti effetti nocivi di stress, fumo e sovrappeso sulla salute dell’apparato cardiovascolare del presidente – sottolineano i tre autori dello studio - sappiamo che anche la poliomielite può determinare un precoce danno al tessuto cardiaco. Lo stato infiammatorio del cuore costituito dalla tumefazione delle fibre miocardiche ed edema miocardico direttamente causato da poliomielite è stato documentato in pazienti morti di poliomielite acuta nel 1910 da Robertson e Chesley». La miocardite fu successivamente confermata come caratteristica della poliomielite da Saphir e Wile nel 1942 mentre Jungeblut e Edwards dimostrarono la presenza del virus della poliomielite nel muscolo cardiaco. «A partire dagli anni ’50, è stato osservato che i pazienti sopravvissuti alla poliomielite hanno un insolito aumento pressorio, mentre studi moderni hanno dimostrato che questi pazienti hanno anche importanti fattori di rischio cardiaco e sono esposti a ipertensione, dislipidemia e coronaropatia – ricorda Cossarizza -  Inoltre, è stato dimostrato che i sopravvissuti alla poliomielite hanno una prevalenza più alta di ictus».

Sebbene sia noto che Roosevelt cercò di compensare la sua invalidità degli arti inferiori rafforzando la parte superiore del corpo, in particolare attraverso il nuoto, tali misure da sole, nonostante i benefici riconosciuti, furono insufficienti a contrastare gli effetti negativi della sedentarietà prolungata e di ipotetiche alterazioni cardiache legate alla poliomielite. Inoltre, l’eccessivo potenziamento della muscolatura degli arti superiori diventata ipertrofica – ricordano gli scienziati autori dello studio - causato dalle lunghe ore di allenamento trascorse a Warm Springs a partire dal 1924, in Georgia, con il seguente sovraccarico del cuore destro, potrebbe aver contribuito all’affaticamento del cuore.

Si può quindi supporre che i precoci danni al muscolo cardiaco del presidente siano stati causati dalla poliomielite, una malattia estremamente pericolosa e un flagello non ancora eradicato, nonostante il traguardo, purtroppo disatteso, fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per il 2018. «Il caso di Roosevelt, proprio come quello di molti altri pazienti meno famosi sopravvissuti ma con disabilità alla poliomielite – dicono i ricercatori - sottolinea l’importanza strategica dell’attuazione di politiche di vaccinazione per prevenire efficacemente non solo la malattia ma anche i suoi esiti patologici». Tale considerazione vale anche per l’influenza: somministrando i vaccini si limita il rischio di patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, con riduzione del rischio di mortalità nei pazienti anziani rispetto a quelli non vaccinati. «In poche parole – ricordano gli autori dello studio - anche se spesso per l’immaginario comune il vaccino ci difende solo da una specifica malattia infettiva, ha fondamentale impatto sull’aspettativa di vita e garantisce una protezione maggiore per la salute globale».

Data ultimo aggiornamento 28 gennaio 2019
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: Andrea Cossarizza, Francesco Maria Galassi, poliomielite



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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