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Di che cosa odoravano le mummie egizie?
Di legni aromatici, spezie e oli essenziali

Speziato, legnoso e dolce. Così era, con numerose sfumature, l’odore delle mummie nell’Antico Egitto. Secondo le antiche credenze, infatti, una salma ben conservata e con un buon odore era la prova di purezza e di vicinanza agli dei, mentre una che emetteva cattivo odore era certamente destinata agli inferi, e gli imbalsamatori facevano di tutto per rendere la mummia profumata. A tale scopo utilizzavano resine di conifere, oli essenziali di cedro, ginepro e altre piante, e poi spezie, cere naturali e tutto ciò che potesse modificare le emissioni dei processi di putrefazione, e conservare il corpo al meglio, con un’evoluzione costante delle tecniche e dei materiali. Il risultato era un odore che ancora oggi è spesso percepibile, e quasi sempre è gradevole.

E ora tutto questo è molto più chiaro, grazie a un’indagine mai effettuata prima, condotta su nove mummie di epoche diverse del Museo Egizio del Cairo da un’équipe internazionale coordinata dai ricercatori dell’Università di Lubiana, in Slovenia, e pubblicata sul Journal of the American Chemical Society.

Per capire da che cosa fosse composto l’odore emanato, gli autori hanno prelevato campioni di aria e li hanno analizzati con tecniche come il cosiddetto naso elettronico, che permettono di individuare decine di composti diversi. In questo modo, hanno separato le sostanze usate durante l’imbalsamazione da quelle arrivate dopo, compresi i pesticidi e i prodotti derivati dalla putrefazione. Quindi hanno sottoposto gli stessi aromi a un panel di ricercatori, per aggiungere ai dati sperimentali una valutazione umana, e sono così giunti a descrivere con un dettaglio mai ottenuto prima di che cosa “odora” una mummia.

La tecnica potrebbe avere diversi tipi di ricadute. Innanzitutto, poiché sono note le evoluzioni delle imbalsamazioni nel tempo, capire quale materiale è stato utilizzato può costituire un elemento valido per la datazione e aiutare a comprendere anche il contesto in cui viveva la persona imbalsamata, nonché il suo status socioeconomico. Poi potrebbe essere alla base della realizzazione di nuovi percorsi museali, basati su viaggi anche olfattivi, che potrebbero restituire ai visitatori esperienze davvero uniche. E piacevoli.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 7 marzo 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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