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Dalla California terapia innovativa
per frenare i danni all’intestino

Il nuovo farmaco, chiamato RPC1063, sembra in grado di "imprigionare" i linfociti che, per errore, innescano la malattia

di Agnese Codignola

I buoni risultati ottenuti da una sperimentazione clinica internazionale lasciano sperare che presto ci possa essere un nuovo farmaco per la colite ulcerosa, e forse anche per altre malattie autoimmuni.
Gli immunologi dello Scripps Research Institute di La Jolla, in California, hanno infatti reso noto quanto osservato su 199 pazienti trattati con una sostanza chiamata, per ora, RPC1063: un tasso di remissione passato da poco più del 6% con il placebo, al 16% con il farmaco.
La molecola agisce su una specifica proteina, chiamata recettore della sfingosina 1-fosfato o S1P1. La sfingosina regola, per così dire, il traffico dei linfociti (cellule fondamentali del sistema immunitario) in entrata e in uscita dai linfonodi, cioè dalle "stazioni di polizia" che si trovano lungo i vasi linfatici. Il farmaco sperimentale RPC1063 (come altri della stessa categoria, tra i quali uno - il fingolimod - giù utilizzato per la sclerosi multipla) rende molto più difficile l’uscita dei linfociti dai linfonodi e, in questo modo, attenua le reazioni autoimmunitarie, determinate, per errore, proprio dai linfociti.

Nei prossimi mesi la RPC1063 sarà sperimentata su un più ampio numero di malati di colite ulcerosa e forse anche di sclerosi multipla. La tossicità e gli effetti collaterali sembrano molto bassi.

La molecola è stata ottenuta con un sistema di drug design, cioè di progettazione computerizzata dei farmaci, realizzata in base alle caratteristiche strutturali del bersaglio che si desidera colpire (la tecnica è stata messa a punto a Berkeley dai ricercatori dell’Università di California e ha già dato buona prova di sé anche contro la sclerosi multipla).
 Un suo impiego nella colite ulcerosa e nel morbo di Crohn rappresenterebbe un significativo passo in avanti, dal momento che, a tutt’oggi, una percentuale variabile di pazienti, compresa tra il 23 e il 45% del totale, non reagisce alle terapie esistenti.

La colite ulcerosa è caratterizzata all’inizio da diarrea e coliche addominali, associate alla presenza di sangue nelle feci, che variano per intensità e durata e che possono intervallarsi a periodi asintomatici. Nel tempo, però, la situazione tende a peggiorare e a cronicizzare, e deve essere affrontata con una terapia farmacologica che spesso dura tutta la vita: da qui l’esigenza di avere medicinali poco tossici ed efficaci. A oggi viene curata con immunosoppressori classici quali sulfasalazina, azatioprina o ciclosporina, o con farmaci più moderni, attivi contro le citochine (molecole del sistema immunitario) coinvolte nei fenomeni infiammatori, come adalimumab e infliximab. Solo in casi estremi si ricorre a interventi chirurgici.

Data ultimo aggiornamento 5 dicembre 2014
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: colite ulcerosa, malattie autoimmuni, sclerosi multipla



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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