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La fragilità della terza età si combatte
con una pratica millenaria: lo hata yoga

Lo yoga aiuta a prevenire le cadute e altri incidenti che possono capitare a chi è anziano, rinforzando la muscolatura, migliorando l’equilibrio e contribuendo a una maggiore consapevolezza. Lo ha dimostrato una metanalisi di 33 studi che hanno coinvolto oltre 2.300 over 65, che hanno preso parte a studi controllati, nei quali cioè una parte praticava attivamente, un’altra non modificava le proprie abitudini.

La revisione, uscita sugli Annals of Internal Medicine, conferma numerose ricerche effettuatoe negli ultimi anni, in particolare sullo yoga più tradizionale, lo hata yoga, e sulla versione studiata apposta per chi non riesce a praticare se non da seduto, chiamata Iyengar, ideale anche per sessioni domestiche. Gli autori, ricercatori della Harvard Medical School e del Brigham and Women’s Hospital di Boston, hanno controllato i parametri fondamentali della fragilità quali la velocità della deambulazione, la forza della presa delle mani, l’equilibrio, la forza e la resistenza degli arti inferiori più altre misurazioni delle prestazioni fisiche multiorgano, e hanno così dimostrato che gli effetti della pratica, specie se costante, sono statisticamente significativi, anche se non di grande entità, e sono più evidenti sulla resistenza e sull’equilibrio, e meno sulla presa delle mani.

La prevenzione delle cadute è una questione di sanità pubblica che ha una grande rilevanza, soprattutto nei paesi dove la sopravvivenza si allunga, perché la fragilità colpisce almeno la metà delle persone che hanno più di 65 anni, e le cadute e le altre conseguenze possono avere gravi ripercussioni, talvolta anche mortali, quando comportano l’allettamento e la perdita di autosufficienza o la necessità di interventi che possono portare a infezioni. Lo yoga, da praticare sempre con l’ausilio di insegnanti professionisti, aiuta a limitare i rischi e ad affrontare la vecchiaia mantenendo tono muscolare ed equilibrio. 

A.B.
Data ultimo aggiornamento 16 marzo 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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