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Dagli uccelli ai bovini e anche agli uomini: monitoraggio negli USA sul virus dell’aviaria

(Foto iStock)

Da molti anni i virologi ritengono che i virus più a rischio di innescare una pandemia siano quelli influenzali, a causa della loro diffusione ubiquitaria e della grandissima versatilità del loro genoma, che consente loro di adattarsi agli animali più diversi, di sviluppare resistenze a vaccini e farmaci, e di compiere continui salti di specie o spillover. Per questo ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, e cioè una trasmissione massiccia di virus dell’influenza aviaria H5N1 ad alta patogeneicità (HPAI) ai bovini da latte e, in due casi (in Texas e Michigan, quindi in due stati lontani tra di loro), all’uomo, preoccupa, ma non ha sorpreso quasi nessuno degli esperti. Piuttosto, stupisce il fatto che, dopo quanto successo con il Covid, le misure intraprese per ora siano piuttosto blande. Anche perché, stando a quanto si è visto finora, negli esseri umani l’infezione da virus H5N1 HPAI può essere anche letale. 
Ma andiamo con ordine.

L’ALLEVATORE INFETTATO E L’ORIGINE DELLA CRISI -  Il primo aprile scorso, i Centers for Diseases Control di Atlanta hanno reso nota una notizia: un lavoratore di un allevamento di mucche da latte era stato infettato da un virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità, e quindi di tipo A H5N1 HPAI, passato appunto dai bovini all’uomo. Finora era stato segnalato un solo altro caso, nel 2022, in Colorado. Poi, il 22 maggio, è giunta un’altra segnalazione, questa volta dal Michigan, relativa a un secondo lavoratore di un’azienda casearia, anch’egli infettato da H5N1 HPAI.
Si è trattato di un doppio spillover: dai volatili ai bovini, e da questi all’uomo. I sintomi, in entrambi i casi, sono stati molto lievi (di fatto solo una congiuntivite), ma ciò che preoccupa è il passaggio agli esseri umani di per sé.
L’evento è sembrato a molti esperti ineluttabile: da diversi mesi l’influenza aviaria, veicolata inizialmente dagli uccelli migratori, scoperta per la prima volta nel 1996 in un’oca, imperversa in tutto il mondo, grazie alla crisi climatica, e a mutazioni scoperte nel 2020. Grazie a queste, infatti, il virus non rispetta più la stagionalità che fino a poco tempo fa lo rendeva una minaccia prevalentemente invernale, ma infetta tutto l’anno. I salti di specie, poi, non si contano: nel solo 2023, ne sono stati segnalati oltre 900 in 23 Paesi, e hanno interessato gli animali più diversi, dalle foche alle capre, dagli orsi ai visoni. Finora, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono state infettate 26 specie di animali diverse, con centinaia di migliaia (probabilmente milioni) di decessi tra gli animali selvatici più disparati. Inoltre, secondo gli esperti, in tutta evidenza, il virus H5N1 si è evoluto sviluppando una certa predisposizione verso i mammiferi. 

Nessuna sorpresa, quindi, quando si è iniziato a capire che era passato dagli uccelli ai bovini, probabilmente all’inizio in un solo allevamento. Oggi, però,  gli allevamenti interessati sono una quarantina, in 9 stati americani anche molto distanti tra di loro. Che cosa è successo? Perché animali che vivono a migliaia di chilometri di distanza si sono ammalati tutti nello stesso periodo? 

Di solito in questi casi le ipotesi sono due: la diffusione può essere veicolata da uccelli migratori malati che si spostano, oppure passivamente, attraverso il commercio di animali e mangimi, o lo spostamento di persone e macchinari. Le indagini genetiche subito avviate fanno propendere per questa seconda ipotesi, anche perché i virus trovati sono relativamente omogenei, e non sembrano quindi provenire da più infezioni contemporanee. Ma mancano ancora le prove definitive.

Tuttavia, se così fosse, la responsabilità sarebbe anche del sistema di sorveglianza, che non avrebbe individuato per tempo le prime infezioni né, tantomeno, adottato tutte le misure del caso. E infatti, secondo quanto affermato dai ricercatori di uno dei centri che stanno partecipando agli studi, l’Università del Nebraska, diversi elementi fanno ritenere che il passaggio ai bovini sia avvenuto molto prima rispetto a quando è stato scoperto, e cioè nell’autunno del 2023 o, in base a ulteriori indagini genetiche sull’RNA appena rese note, al più tardi attorno a gennaio-febbraio 2024.

IL LATTE CONTAMINATO - Poiché gli animali interessati sono bovini da latte, immediatamente sono scattate le analisi appunto del latte entrato nella catena commerciale, effettuate dalla Food and Drug Administration (FDA). Nei primi giorni è stato reso noto, da parte della stessa FDA, che erano stati rinvenuti residui genetici virali in alcuni campioni di latte pastorizzato commerciale analizzati. Inizialmente non era stato possibile dire se si trattasse di residui rimasti dopo i trattamenti come la pastorizzazione, oppure di particelle virali intere e in grado di replicarsi. In seguito, la stessa FDA ha condotto ulteriori test, che consistono nell’inoculazione del latte sospetto in uova e colture cellulari: se ci sono virus vivi, si replicano.
Nel frattempo,però,  i ricercatori dell’Università dell’Ohio avevano deciso di procedere autonomamente, e avevano reso noto al sito Stat che, su 158 campioni acquistati in dieci stati, 58 di essi contenevano materiali genetici di H5N1, e che la positività era attorno al 30-40%, e non scendeva mai al di sotto del 20%. Ora anche loro stanno cercando di determinare se si tratti di frammenti o di virus interi.

LA PASTORIZZAZIONE - Secondo la maggior parte degli esperti, comunque, i procedimenti di pastorizzazione cui viene sottoposto il latte sarebbero sufficienti ad assicurare l’assenza di virus vivi. Ma anche su questo aspetto non tutti concordano. In linea generale, il processo di pastorizzazione consiste nel far passare il latte in un ambiente caldo, attorno ai 60°C, per pochi secondi. In questo modo si uccide la maggior parte dei microrganismi senza compromettere le qualità nutrizionali. Tuttavia, esistono molti modi di attuare una pastorizzazione, e l’esito dipende dalle modalità con le quali è attuata (per esempio: la temperatura, il contenitore, il tempo di esposizione), dalle caratteristiche del patogeno e dalla sua concentrazione. Non ci sono filtrazioni, e ciò spiega perché, nel latte pastorizzato, si ritrovano residui genetici dei microrganismi presenti. Ma nessuno, finora, aveva studiato nel dettaglio che cosa accade ai virus H5N1 sottoposti a pastorizzazione. 
La FDA, nelle ultime settimane, ha fatto un nuovo passo in avanti, affermando che tanto il latte normale, quanto quello in polvere per bambini, sarebbero sicuri, cioè non conterrebbero virus vivi. In seguito ha comunicato i dati di poco meno di 300 campioni, provenienti da 38 stati, che eeffettivamente sono rassicuranti. Il latte pastorizzato è sicuro. 

LA CARNE - Oltre a questo, la FDA sostiene che la carne sia sicura (i campioni commerciali analizzati non hanno mostrato virus), ma vada sempre consumata cotta. Test fatti inoculando in carne da hamburger alte concentrazioni di virus lo hanno confermato: la cottura a 63-71 °C è sufficiente, mentre se il calore si ferma a 48-49°C restano tracce dei virus.
Nel frattempo, l’agenzia ha imposto a chi deve spostare i capi da uno stato all’altro di testarne 30 per spedizione. Non sono mancati, comunque, i rilievi di veterinari e virologi: 30 capi possono essere molto pochi, in caso lo spostamento ne coinvolga molti di più, soprattutto considerando che, a quanto si è visto finora, solo il 20% degli animali infetti mostra qualche sintomo. Controllando solo 30 animali, quelli infetti potrebbero sfuggire. Inoltre, bisognerebbe iniziare a pensare a misure più drastiche quali le vaccinazioni, e a vietare la vendita di latte con residui di virus influenzali. 
E invece, almeno per ora, i provvedimenti sembrano tenere presenti le esigenze dei produttori, più che i pericoli associati a un’epidemia che si è già diffusa per mesi senza che nessuno se ne accorgesse. 

I RISCHI - Il pericolo, trattandosi di animali da allevamento, è che il virus passi anche ai suini o alle pecore, magari mutando e generando nuove varianti o ibridi imprevedibili.
Iniziano comunque a manifestarsi le prime reazioni internazionali, analoghe a quanto visto con il Covid: la Colombia ha annunciato di aver vietato le importazioni di carne da Idaho, Kansas, Michigan, New Mexico, Nord Carolina, Ohio, Sud Dakota e Texas, cioè dagli stati nei quali sono stati scoperti i focolai. È il primo Paese al mondo a prendere provvedimenti drastici, ma probabilmente non sarà l’unico.

Le prossime settimane aiuteranno a comprendere meglio quanto grave sia la situazione. Per ora, in Europa non sono stati segnalati casi di bovini infetti, né di passaggio ai bovini o all’uomo.

Nel frattempo, le autorità sanitarie staunitensi stanno lavorando per avviare la produzione di vaccini tradizionali per l’uomo e per i bovini (ce ne sarebbero almeno due efficaci), e parlando con Moderna e Pfizer per velocizzare i test su nuovi vaccini a mRNA.

A.C.
Data ultimo aggiornamento 22 maggio 2024
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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