Questo sito utilizza cookies tecnici per l'analisi del traffico, in forma anonima e senza finalità commerciali di alcun tipo; proseguendo la navigazione si acconsente all'uso dei medesimi Ok, accetto

Dagli ominidi al Covid: il Nobel
per la medicina a Svante Pääbo

di Agnese Codignola

Con una scelta che in parte ha sorpreso, ed era certamente inattesa, il comitato per il premio Nobel ha annunciato la sua decisione per il 2022, inaugurando la settimana dei premi: quello per la medicina e la fisiologia è andato allo svedese Svante Pääbo, di professione paleogenetista, cioè persona che studia il genoma dei primi ominidi. Di qui lo stupore, perché il nesso con la medicina non è intuitivo. Ma, come vedremo tra poco, c’è, ed è molto forte.

Il riconoscimento arriva dopo trent’anni di lavoro durante i quali Pääbo ha di fatto messo a punto una disciplina del tutto nuova, resa possibile dalle tecnologie genetiche ma sviluppata, in questa particolarissima applicazione, proprio da lui, oltreché da diversi colleghi in laboratori di vari Paesi. Grazie ai suoi studi, oggi è relativamente chiara l’origine dei Sapiens, che apparvero in Africa circa 300.000 anni fa. I Neanderthal, invece, comparvero al di fuori del continente africano, in Europa, circa 400.000 anni fa, e da lì si diffusero fino all’Asia, restando attivi e vitali fino a circa 30.000 anni fa. Intanto, circa 70.000 anni fa, alcuni gruppi di Sapiens popolarono il Medio Oriente e ci fu anche un lungo periodo nel quale le due specie convissero, in parte ibridandosi

Tutto ciò è stato ricostruito con le tecnologie classiche della paleoantropologia e dell’archeologia, come lo studio dei reperti. Ma Pääbo, già all’inizio della sua carriera, negli anni novanta, aveva un’idea diversa: voleva studiare gli ominidi e i loro movimenti, e le loro eredità tra gli umani attraverso il genoma. Sfida ai limiti del possibile, allora, perché i rarissimi frammenti di genoma che si riescono a recuperare da qualche osso sono quasi sempre contaminati, o troppo degradati per poter fornire risposte adeguate ai quesiti. 

Ma ecco che qui interviene il lavoro rivoluzionario dello scienziato svedese. Una delle sue prime intuizioni fu modificare il tipo di DNA da studiare: invece che ricorrere alle ossa, e quindi al DNA cellulare, spesso irrimediabilmente danneggiato, avrebbe cercato nei mitocondri, i minuscoli organelli intracellulari responsabili della respirazione delle cellule, che si ereditano solo per via materna e presentano dunque caratteristiche del tutto particolari, e sono  meglio protetti rispetto al DNA del nucleo. Uno dei primi successi fu relativo alla mappatura del DNA mitocondriale di un Neanderthal di 40.000 anni fa, che dimostrò in modo definitivo la separazione tra questi ultimi, i primati non umani e i Sapiens.

Nel frattempo, però, le tecniche di sequenziamento erano diventate molto più sofisticate, e questo spinse Pääbo a tentare l’impresa: insieme a un’équipe del Max Plank Institute di Lipsia, in Germania, riuscì a ottimizzare i protocolli, e a ottenere la prima mappatura completa di un Neanderthal, retrodatando a circa un milione di anni fa la prima comparsa dell’antenato comune a Sapiens e Neanderthal. Poi, nel 2010, fece un altro studio “seminale”: esaminando alcuni reperti trovati a Denisova, in Siberia, risalenti a circa 40.000 anni fa, dimostrò l’esistenza di un’altra sottospecie, anch’essa derivata dai primi progenitori comuni. Il quadro oggi ritenuto più plausibile è quindi che, da un primo gruppo di ominidi africani, in seguito alle migrazioni dai primi Sapiens  se ne siano formati due (separatisi da 380 a 470.000 anni fa): i Neanderthal più a ovest, e i Denisova più a est. 

Dal punto di vista della fisiologia cui è dedicato il Nobel, ci sono due aspetti estremamente affascinanti, e del tutto nuovi, introdotti grazie agli studi di Pääbo: l’uomo moderno ospita nel suo genoma quantità variabili di geni dei Neanderthal (comprese tra l’1 e il 2%), e dei Denisova (comprese tra l’1 e il 6%). Questo, a sua volta, ha confermato ciò che stava emergendo, in quegli stessi anni, tra i microrganismi, ossia la trasmissione orizzontale delle in formazioni genetiche, qualcosa che contraddice lo schema classico delle informazioni attraverso il DNA. Come dimostra, per esempio, il passaggio della resistenza agli antibiotici, le informazioni a volte passano da una specie a un’altra. Ed è ciò che è accaduto tra Sapiens, Neanderthal e Denisova, che hanno convissuto per migliaia di anni.

Per quanto riguarda le ricadute sulla medicina, il Covid ha dimostrato quanto possano essere rilevanti ricerche come queste, e quanto ci possano essere collegamenti anche tra discipline apparentemente lontanissime. Studiando i genomi di popolazioni molto diverse, Pääbo ha dimostrato, e pubblicato su Nature, che il rischio di avere una reazione eccessiva all’infezione da Sars-CoV 2 è dovuto, almeno in parte, all’eredità degli ominidi. In particolare, ha individuato una regione di circa 50.000 basi presenti nei Neanderthal che vivevano circa 50.000 anni fa nell’attuale Croazia, oggi del tutto assente in alcune popolazioni di alcune zone dell’Africa, ma presenti nel 4-16% di quelle del Sud America e dell’Europa, e in alcune popolazioni con un’ascendenza piuttosto chiara del Bangladesh, dove quei geni sono presenti addirittura nel 50% della popolazione, e di altri paesi del Sud Est asiatico. Le sequenze individuate sono associate a una maggiore reattività del sistema immunitario: proprio quella vista con il Covid, nelle persone in cui si scatena la cosiddetta tempesta citochinica. Esaminando i dati di 3.100 pazienti residenti in Gran Bretagna e ricoverat per Covidi, Pääbo ha confermato la sua idea: la mortalità da Covid tra i bengalesi è stata doppia rispetto a quella degli inglesi con altre ascendenze. Oltre ad aver contribuito a fornire una spiegazione per un fenomeno allora tutto da chiarire (l’iperreattività di alcuni soggetti al virus), la scoperta di Pääbo ha consentito di individuare una parte del genoma particolarmente associata alle risposte immunitarie: scoperta dalla quale potrebbero derivare molte conseguenze, in termini di conoscenza ma anche di prevenzione e di terapia. Motivi per i quali il premio Nobel per la medicina, come viene più spesso chiamato, è più che meritato, dal paleogenetista Svante Pääbo.
-----
(Nella foto in alto, Svante Pääbo - © Karsten Moebius tramite Keystone) 

Data ultimo aggiornamento 3 ottobre 2022
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



Warning: Use of undefined constant lang - assumed 'lang' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Notice: Undefined index: lang in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

Chiudi

Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

VAI ALLA VERSIONE COMPLETA