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Costosissime e non sempre efficaci: il dilemma delle terapie d’avanguardia - L'Assedio Bianco

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Costosissime e non sempre efficaci:
il dilemma delle terapie d’avanguardia

Nella foto dell’agenzia iStock, ricostruzione al computer di filamenti di DNA

di Agnese Codignola

Qual è il prezzo di una vita umana? Quanto costa assicurare a un neonato la possibilità che il suo collo regga la sua testa, permettendogli di vivere più a lungo del breve periodo (pochi mesi) che una malattia rara e crudele - l’atrofia muscolare spinale (o SMA) - gli potrebbe concedere, anche se con miglioramenti non sempre decisivi? È giusto pagare cifre ingenti, fino a due milioni di dollari, per terapie che in certi casi consentono di ottenere solo un piccolo progresso? Sì, naturalmente, quando in gioco c’è la vita di un bambino. Ma è pur vero che medicinali dal costo così elevato mettono sotto pressione i sistemi sanitari pubblici, sottraendo fondi ad altre terapie. Sono scenari etici difficili, che sono tornati di attualità quando è stato approvato quello che è stato definito il farmaco più costoso del mondo, venduto dall’azienda svizzera Novartis al prezzo, appunto, di più di due milioni di dollari (2,1 per l’esattezza, pari a circa 1,95 milioni di euro).

Il farmaco si chiama onasemnogene abeparvovec, un nome impossibile da memorizzare, per un tipo di terapia specifica: quella genica, indicata per la SMA, che è, appunto, una malattia genetica, provocata dalla mutazione - presente su entrambe i cromosomi - del gene SMN1 (da Survival Motor Neuron 1). In seguito a questa alterazione non viene più prodotta la proteina SMN, indispensabile per i motoneuroni, le cellule nervose che regolano il movimento. La malattia colpisce un nato vivo su 10.000, e provoca la progressiva atrofizzazione delle cellule nervose, con paralisi sempre più estese e una sopravvivenza che mediamente non supera i due anni di età, senza terapie.

Esistono quattro tipi di SMA: il primo, chiamato 1, che interessa circa un bambino malato su due, è il più grave, e si manifesta già alla nascita con difficoltà di movimento e di respirazione; il tipo 2, intermedio, inizia a vedersi dopo i sei mesi, e i bambini che ne sono colpiti possono talvolta riuscire a sedersi, ma non si alzano e non camminano; infine il tipo 3, meno grave, può permettere una deambulazione che comunque è molto difficoltosa. C’è poi il tipo 4, forma che compare nell’adulto, estremamente rara e meno grave.

La gravità dipende dalle mutazioni di un altro gene, chiamato SMN2, perché anch’esso produce la proteina SMN, sia pure in quantità minime; a seconda di quanta il gene riesce a produrne, la disabilità e la progressione possono essere più o meno gravi e rapide.

Nel 2016 è arrivato il primo farmaco che è riuscito ad aumentare la sintesi di SMN2 e quindi a far migliorare le condizioni dei piccoli malati: il nusinersen (o Spinraza) di Biogen, somministrato attraverso una puntura lombare (una procedura molto invasiva) a un costo, per il primo anno, di 800.000 dollari, cui devono seguire altre somministrazioni di mantenimento che costano “solo” 400.000 dollari all’anno. Poi, nel 2021, è arrivato il risdiplam (o Evrysdi) di Roche, assunto per via orale con la stessa finalità, che costa tra i 100.000 e i 340.000 dollari all’anno a seconda del peso del bambino. 

In questo contesto è giunto lo Zolgensma (questo il nome commerciale dell’onasemnogene abeparvovec), costituito da un virus geneticamente modificato per contenere il gene SMN1.

La terapia, pubblicizzata inizialmente come “potenzialmente curativa”, cioè capace di risolvere il difetto genetico con la sostituzione del gene, nel tempo si è rivelata qualcosa di diverso, e cioè un trattamento che può trasformare la SMA da patologia mortale a patologia cronica, ma che  comunque non cura i pazienti in modo definitivo e completo. E in un terzo circa dei bambini non funziona poi a lungo per vari motivi, o non è sufficiente e va integrata, nel tempo, con le altre cure (a loro volta, come visto, estremamente costose). Non a caso, la Novartis ora parla di “terapia da somministrare una sola volta”, eliminando frasi definitive che si sono rivelate fuori luogo, pur se attenuate da quell’avverbio: “potenzialmente”. Da qui le discussioni sull’opportunità di rimborsare qualcosa che non riesce a essere davvero curativo, e che ha un costo astronomico: un costo comunque superiore a quello (900.000 dollari) suggerito da enti no profit come l’Institute for Clinical and Economic Review (ICER), che effettuano complessi calcoli sulle spese in ricerca sviluppo e sui rapporti tra rischi, benefici e costi, per giungere a una valutazione ragionevole del possibile costo di un farmaco.

Dal punto di vista clinico, uno dei problemi principali di Zolgensma riguarda il vettore virale (cioè il virus utilizzato dal farmaco per infettare le cellule dei bambini malati e modificare i geni alterati), che è un adenovirus simile a quelli che provocano il raffreddore, e che i piccoli pazienti possono avere già incontrato, sviluppando anticorpi specifici. Quando ciò accade (secondo le stime nel 15-20% dei casi), la terapia fallisce. Ci sono poi limitazioni per tutti i bambini che hanno qualche problema al fegato (problemi che la cura può esacerbare). Specifici avvertimenti sono stati introdotti sulle confezioni dopo il decesso di due piccoli pazienti, in Russia e Kazakhstan, per scompenso epatico acuto.

Ma poi c’è il dato più pesante, ai fini delle approvazioni. Secondo gli ultimi dati resi noti dalla stessa Novartis, 24 degli 81 bambini trattati fino a maggio 2022 hanno avuto bisogno, dopo qualche mese, di aggiungere gli altri farmaci. L’azienda non ha fornito altri dettagli, ma l’elevata percentuale, prossima al 30%, mette in discussione non l’approvazione, ma i rimborsi forniti sia dai sistemi pubblici che dalle assicurazioni, perché il bilancio tra costi e benefici risulta molto peggiore di quello che teoricamente si avrebbe se il farmaco fosse davvero “da somministrare una volta nella vita”. Certo, per Zolgensma questa frase è vera, ma se poi sono necessari trattamenti quasi altrettanto costosi, che oltretutto non portano alla guarigione, i dubbi sono legittimi, per quanto drammatici.

È pur vero, però, che - sull’altro piatto della bilancia - molte delle famiglie delle migliaia di bambini già trattati o in cura con Zolgensma riportano miglioramenti evidenti nella qualità di vita. Inoltre gli studi clinici condotti, e ancora in corso, chiamati LT-001 e LT-002, hanno mostrato, per ora, che in numerosi pazienti il farmaco assicura possibilità che sarebbero state precluse. come la capacità di restare seduti senza supporto, o di stare in piedi, sia pure con aiuti, o in alcuni casi di camminare, soprattutto quando la terapia è iniziata prima che si manifestassero i primi deficit motori. Inoltre, la maggior parte dei primi pazienti, trattati ormai più di sette anni fa, hanno mantenuto, per ora, i traguardi motori raggiunti, fatto senza precedenti, che quindi confermerebbe la riuscita del trattamento, e la sua durata. I bambini sono comunque tutti sotto osservazione, e monitorati continuamente per verificare l’andamento della malattia, e l’eventuale necessità di ricorrere anche alle altre cure. 

UNA STRATEGIA TERAPEUTICA INAUGURATA 33 ANNI FA - Molta strada è stata fatta dalla prima terapia genica approvata su un essere umano, nel 1990, effettuata dal medico statunitense French Anderson su una bambina di quattro anni, Ashanti De Silva, affetta da una forma grave di SCID, il deficit di adenosina deaminasi (ADA) che comporta una gravissima immunodeficienza.

Zolgensma è il diciassettesimo trattamento genetico approvato dalla Food and Drug Administration (FDA, l’ente che regola la sperimentazione e la vendita dei farmaci negli Stati Uniti). Dal momento della sua approvazione, è stato somministrato a circa 3.000 bambini nel mondo, assicurando a Novartis, secondo quanto riferisce l’agenzia giornalistica Reuters, un fatturato, nel solo 2022, di 1,4 miliardi di dollari, pari al 91% dei ricavi indotti da tutte le terapie geniche approvate nel mondo (ce ne sono ormai diverse). «Negli Stati Uniti - scrive la Reuters - dove i costi sono sostenuti dai programmi sanitari governativi come Medicaid e dalle assicurazioni private, IQVIA ha stimato che le vendite di Zolgensma siano state pari a 434 milioni di dollari lo scorso anno».

Zolgensma, comunque, ha già perso il suo poco invidiabile primato: di recente, la FDA ne ha approvato un altro, sempre di tipo genetico, per l’emofilia, della CSL Behring. Prezzo: 3,5 milioni di dollari. E altre terapie geniche (secondo alcune stime, più di una ventina) potrebbero presto ricevere il via libera, suscitando ulteriori polemiche sui costi sempre più elevati e insostenibili, cui nessuna autorità sembra riuscire a porre dei limiti.
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(Nella foto in alto, dell’agenzia iStock, ricostruzione al computer di filamenti di DNA)

Data ultimo aggiornamento 5 settembre 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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