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Per l’artrosi del ginocchio c’è un farmaco nuovo, anzi vecchissimo: la metformina

La metformina, un vecchissimo e tuttora utilizzato farmaco antidiabetico, continua a riservare sorprese e a mostrare nuove potenzialità. L’ultima in ordine di tempo, illustrata in uno studio pubblicato su JAMA dai ricercatori della Monash University, lo candida ad antidolorifico per le persone in sovrappeso od obese con artrosi del ginocchio. In esso infatti un centinaio di volontari, nessuno dei quali diabetico, ma che soffrivano di artrosi del ginocchio e che avevano un indive di massa corporeo di almeno 25, che definisce il sovrappeso, dell’età media di 60 anni, hanno assunto 2.000 milligrammi del farmaco o di un placebo per sei mesi. In tutti è stato misurato il dolore associato, in una scala compresa tra 0 e 100, dove 1000 era il massimo del dolore. Il risultato è stato che chi aveva assunto la metformina aveva avuto una riduzione media di 31,1 punti, mentre chi aveva assunto il placebo di 18,9.

Anche se si tratta di un effetto non troppo potente (considerato moderato), è di un’entità che poche delle altre terapie disponibili riescono a ottenere, soprattutto con così pochi effetti collaterali. Gli ultimi farmaci, approvati negli anni novanta, i -coxib, sono molto efficaci, ma anche gravati da effetti collaterali che li rendono non adatti a tutti, e non assumibili per lunghi periodi. In alternativa ci sono gli antidolorifici-antinfiammatori classici come il paracetamolo, o le applicazioni locali di cortisonici, ma nessuno riesce a essere del tutto soddisfacente. Nei casi più gravi si ricorre alla chirurgia per l’inserimento di una protesi del ginocchio, che non sempre risolve e che comporta rischi e richiede riabilitazione.

La metformina, al contrario, essedo usata da oltre 60 anni, costa pochissimo, non ha effetti collaterali significativi ed è molto conosciuta da parte di medici e pazienti. Negli ultimi anni sono emersi molti altri effetti positivi tra i quali quelli sul metabolismo dei grassi, su quello degli zuccheri e perfino nei tumori. Per quanto riguarda l’artrosi, probabilmente la sua azione è antinfiammatoria e positiva su alcuni dei circuiti metabolici coinvolti.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 30 aprile 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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