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Contro dolori, ansia e stress durante un ricovero c’è un unico farmaco: la musica

La musica come un farmaco da banco, da assumere senza prescrizione per combattere ansia, depressione, dolori (non oncologici) e per migliorare l’efficacia di altri farmaci. E’ questo il messaggio che arriva da due studi che mettono in luce i benefici assicurati dall’ascolto di musica durante la permanenza in ospedale, oppure mentre si assumono appunto farmaci specifici.

Nel primo, infatti, pubblicato su Pain Reports, sono stati riportati i risultati ottenuti su oltre mille pazienti ricoverati in uno tra otto centri di cura staunitensi che prendevano parte a un programma chiamato EMMPIRE project (da Effectiveness of Medical Music Therapy Practice: Integrative Research using the Electronic Health Record), sottoposti ad alcune sessioni di musica tra il 2017 e il 2020; nello specifico, queste prevedevano l’ascolto di una musica gradita, la visualizzazione di immagini durante l’ascolto oppure l’esecuzione attiva di brani musicali (per chi sapeva suonare uno strumento), sempre con la guida di un musico-terapista. Per tutti i partecipanti è stato misurato il livello di dolore, di ansia e di stress in una scala ufficiale che va da zero e 10, e dove si ritiene che una diminuzione del dolore di 1,3 e una di ansia e stress di 2 punti siano prove di efficacia. Il risultato è stato che il dolore era diminuito, in media, di 2,04 unità, l’ansia di 2,8 unità e lo stress di 3,48 unità: tutti numeri al di sopra della soglia di significatività. Inoltre, il 14% di chi aveva inizialmente un punteggio di dolore pari o superiore a 4, si è addormentato durante la musicoterapia, un altro effetto considerato molto positivo per alleviare, oltre al dolore stesso, lo stress a esso associato. In generale, che ha ascoltato musica ha avuto una probabilità 4,3 volte superiore a quella di chi non lo ha fatto di avere un calo del dolore di 2 punti. Non sembrano dunque esserci dubbi sull’efficacia della musicoterapia per chi è ricoverato. 

Il secondo studio, pubblicato su Clinical Nursing Research, è invece più specifico, perché è dedicato all’azione della musica su 12 persone che stavano assumendo farmaci anti-nausea per contrastare gli effetti collaterali della chemioterapia. In quel caso, i partecipanti sono stati invitati ad ascoltare la musica preferita nei 30 minuti successivi all’assunzione dell’anti-nausea in ospedale, e ogni volta che questa si ripresentava nei cinque giorni successivi alla chemioterapia, richiedendo nuove assunzioni di farmaci, per un totale di 64 sessioni musicali. In base a quanto riportato, si è vista una chiara riduzione della gravità della nausea che, nel caso delle terapie oncologiche, non ha origine nello stomaco, ma nel cervello. Si pensa che l’azione della musica abbia a che fare con il neurotrasmettitore serotonina, coinvolto sia nel piacere associato all’ascolto, sia nella depressione, sia nell’origine della nausea neurologica, ma occorreranno altri studi per comprendere meglio i meccanismi e gli equilibri di questa sostanza nelle diverse situazioni.

Nel frattempo, l’ascolto di note gradite è sempre positivo, durante una malattia, e privo di effetti collaterali.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 2 maggio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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