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Con la sindrome di Down può aumentare
il rischio di autoimmunità: ecco perché

Le persone con sindrome di Down hanno una particolare predisposizione a sviluppare anche malattie autoimmuni quali il diabete di tipo 1 (che colpisce l’1% dei pazienti), le tiroiditi (50%), l’alopecia aereata (1-11%) e la celiachia (5%). Finora, non era chiaro il perché di questa associazione, ma ora uno studio pubblicato su Nature fornisce una spiegazione convincente e, in questo modo, indica nuove vie per la prevenzione e la cura di queste malattie collaterali, che spesso compromettono la salute di persone già alle prese con gravi deficit, ma che solo raramente vengono affrontate con un approccio mirato e realmente efficace.

Analizzando i campioni di alcuni volontari con sindrome di Down, gli immunologi della Ichan Schol of Medicine del Mount Sinai Hospital di New York hanno infatti trovato un quadro immunitario del tutto anomalo, nel quale si vedono tutti i segni di un’attivazione permanente simile a quella che potrebbe esserci durante una grave infezione, che gli autori hanno paragonato allo stato di chi si trova in terapia intensiva per cause di questo tipo. Il fatto che ci sia un cromosoma in più (il 21) comporta l’attivazione di molti più geni (fino a 200) rispetto alla norma, e questo, a sua volta, si traduce in uno stato infiammatorio caotico, grave e permanente che, prima o poi, evolve in autoimmunità: nei test, sono stati trovati più di 350 tipi di autoanticorpi reattivi contro i più svariati tessuti.

Le conseguenze della scoperta, però, sono positive: poiché esistono trattamenti specifici e in molti casi efficaci contro le malattie autoimmuni quali i farmaci noti come inibitori di JAK (come il tocilizumab usato in diverse malattie reumatiche), ha senso sperimentarli uno a uno e contro un placebo, per verificare se possano essere di aiuto anche per le persone Down. In un secondo tempo, sarà poi opportuno affinare i protocolli, perché, come è noto, la sindrome, che colpisce un concepito su 700, si manifesta con livelli di gravità molto diversi e personalizzati.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 22 marzo 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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