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La risposta dei bambini alle lenti a contatto anti-miopia dipende dal patrimonio genetico

La risposta dei bambini alle lenti a contatto che correggono la miopia, o ne frenano la progressione, chiamate ortocheratologiche, dipende anche dal patrimonio genetico di chi le indossa. E questo potrebbe costituire la base per uno screening preventivo, che assegni a ogni bambino la lente più adatta. Queste ultime poi, in futuro, potrebbero essere realizzate con un materiale rivoluzionario, molto più efficace di quelli attuali nello schermare l’occhio dai campi elettromagnetici emessi dai device.

L’importanza dei geni nella risposta alle lenti per la miopia, sempre più popolari e dotate di una certa efficacia, è stata dimostrata in uno studio pubblicato su Eye and Vision dagli oculisti del National Clinical Research Center for Ocular Diseases della Wenzhou Medical University (Cina), che hanno analizzato i dati clinici e genetici di 545 bambini (di età compresa tra gli otto e i 12 anni) che avevano utilizzato le lenti ortocheratologiche per almeno un anno. Oltre ad aver confermato il ruolo di alcuni fattori come l’età e la conformazione dell’occhio, l’analisi di 60 tra coloro che avevano risposto meglio o peggio ha fatto emergere, in particolare, anche quello di due geni, chiamati RIMS2 e LCA5. A seconda delle loro piccole variazioni, cambiano sia la maturazione della retina che la funzionalità dei fotorecettori, e questo si ripercuote sulla risposta alle lenti ortocheratologiche. Se i dati saranno confermati, in futuro lo screening genetico potrebbe precedere la scelta delle stesse, al fine di ottenere il massimo risultato possibile.

Anche dal punto di vista dei materiali, poi, potrebbero esserci presto novità, come auspicato da un altro studio, pubblicato su Small Science dagli oculisti della Waseda University giapponese. Un nanomateriale chiamato MXene, già noto ma finora limitato da alcune specifiche vulnerabilità, è stato migliorato, e ora si candida a ricoprire tutte le normali lenti, perché offre performance eccezionali nella protezione dai campi elettromagnetici emessi dai device, cui tutti siamo esposti, e che alla lunga possono danneggiare l’occhio. Tutti i test effettuati, compresi quelli su modelli animali, hanno confermato le caratteristiche delle lenti ricoperte di MXene, che potrebbero quindi presto diventare la norma.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 24 giugno 2025
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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